SENTENZE: Assegno di divorzio, le mutate condizioni vanno provate (Il Sole 24 Ore)

IL SOLE 24 ORE

Corte d’appello di Roma. La revisione
Assegno di divorzio, le mutate condizioni vanno provate

È rischioso chiedere al tribunale di ricontrattare l’assegno divorzile se non si può dimostrare il mutamento delle condizioni. Perché se la domanda viene rigettata, oltre alla condanna alle spese in favore della parte processuale vittoriosa, scatta, per chi soccombe, l’obbligo del versamento all’Erario di una somma pari all’importo del contributo unificato.
È quanto emerge da un decreto della Corte d’appello di Roma, del 1° marzo scorso. Le conclusioni trovano fondamento giuridico nell’articolo 156 del Codice civile che, con dizione sostanzialmente analoga a quella adottata dall’articolo 9 della legge 898/1970, in tema di divorzio, ricollega la revoca o la modifica dei provvedimenti al sopravvenire di giustificati motivi. In mancanza della prova, l’istanza non potrà che essere rigettata. Nel caso esaminato, la domanda di modifica chiedeva al giudice del merito una nuova e diversa valutazione delle misure economiche raggiunte tra le parti all’esito della separazione consensuale, ipotizzando l’attribuzione di un assegno di mantenimento, prima non previsto, e l’incremento dell’importo dovuto dal padre quale contributo in favore delle figlie della coppia.
Già il giudice di prima istanza aveva osservato l’assoluta inconsistenza degli elementi giustificativi delle modifiche richieste: l’assegno separativo è stato negato posto che la modifica del contesto abitativo dell’istante, che si era trasferita da altra città nella capitale, aveva visto il venir meno dell’onere delle spese per l’affitto, data l’instaurazione di una stabile convivenza con il proprio partner proprietario di casa. Osserva per altro il collegio, come proprio la stabile convivenza more uxorio escluda in via ulteriore l’esistenza dei presupposti per il riconoscimento di un assegno di mantenimento. La diversa domanda dell’incremento del contributo paterno, concordato all’atto della omologa, per l’assegno di mantenimento della prole in comune, non ha avuto miglior sorte. La parte istante, infatti, da un lato non ha prodotto, senza alcuna giustificazione negli atti del processo di primo grado la propria dichiarazione per atto notorio sui redditi e sulle proprietà; dall’altro lato non ha provato alcun incremento del reddito paterno, risultando, quindi, il contributo concordato con la consensuale commisurato alla capacità economica dell’onerato.
Alla luce di queste considerazioni, il giudice di appello ha quindi chiarito il principio di diritto da applicarsi, rilevando come la legge, in particolare, non attribuisce al procedimento ex articolo 710 del Codice di procedura civile la natura di revisio prioris istantiae, ma di un novum iudicium perché lo considera finalizzato ad adeguare la regolamentazione dei rapporti tra coniugi al mutamento della situazione di fatto, laddove però una siffatta modificazione incida, concretamente, sulle loro condizioni economiche, determinandone un significativo squilibrio.
Sarà quindi necessario valutare come l’evoluzione delle condizioni economiche delle parti abbia creato una nuova situazione patrimoniale, che non consenta di ritenere più equilibrato il precedente dictum. Le spese di causa sono state liquidate in danno della ricorrente nell’importo di 4.200 euro oltre gli oneri di legge e la stessa, posto il rigetto integrale della domanda, è stata condannata a corrispondere, in favore dell’Erario, una somma pari al contributo unificato già corrisposto. Giorgio Vaccaro

Foto del profilo di Andrea Gentile

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