PROFESSIONI: I periti puntano sulla «triennale» (Il Sole 24 Ore)

IL SOLE 24 ORE

Formazione. Progetto del Consiglio nazionale per creare un corso di studi universitario finalizzato all’inserimento in azienda
I periti puntano sulla «triennale»

Creare un percorso formativo-professionale che consente a chi ha una laurea triennale in ingegneria di entrare subito nel mondo del lavoro. È questa la sfida che il Cnpi – Consiglio nazionale dei periti industriali (44.223 iscritti, di cui 9.111 under 40 e per il 37% concentrati nell’area di elettrotecnica e automazione) – lancia al sistema formativo per consentire ai giovani un futuro lavorativo immediato e alla categoria di attrarre nuovi iscritti. Perché i numeri parlano chiaro, come dimostrano i dati diffusi dal centro studi Opificium-Cnpi. Infatti, a più di 15 anni dalla sua introduzione, la laurea triennale in ingegneria continua a essere identificata come il primo tassello del più tipico percorso quinquennale, venendo meno all’obiettivo iniziale di creare un percorso universitario professionalizzante, stante che la quota di laureati in ingegneria che al completamento della triennale decide di proseguire gli studi è salita dall’80,8% del 2004 all’87,5% del 2014. Inoltre, si registra negli anni un calo significativo della quota di laureati che riesce a conseguire il diploma nei tempi previsti dal corso di studio (passata dal 58,8% del 2004 al 33,5% del 2014) e una diminuzione del numero di laureati che nel corso degli studi ha avuto l’opportunità di partecipare a esperienze di tirocini o stage riconosciuti dal corso di laurea, passato dal 51,2% del 2004 al 36,8% del 2014.
L’introduzione di un corso di laurea professionalizzante in ambito tecnico ingegneristico si stima possa coinvolgere annualmente circa 10mila studenti. Di questi più di 4mila proverrebbero dal recupero dei fenomeni di dispersione che si registrano nelle discipline ingegneristiche; quasi 4mila, invece, sarebbero nuove immatricolazioni, di diplomati tecnici che, a un anno dal diploma, rischiano di non lavorare e non studiare o, pur essendo occupati, potrebbero essere interessati a coniugare studio e lavoro.
«Complessivamente – spiega Andrea Prampolini, presidente della Fondazione Opificium – i vantaggi di un percorso triennale professionalizzante sarebbero molteplici. A partire dal fatto che si innalzerebbe la quota di laureati, soprattutto tra i giovani». In Italia, infatti, solo il 22% dei giovani compresi tra i 30 e 34 anni ha conseguito un titolo di studio universitario, contro una media europea del 39 per cento. Tale ritardo è da attribuire all’assenza di un canale terziario “professionalizzate”: solo un giovane su 100 ha conseguito questo tipo di titolo, rispetto al 9% della media europea. Per non dire del fatto che lo strumento in questione consentirebbe di ridurre la “dispersione” dei giovani. «Del resto i numeri – commenta Prampolini – sono impietosi: a 6 anni dall’immatricolazione in un corso di laurea triennale di ingegneria, il 29% ha abbandonato gli studi, il 50% si è laureato, mentre il 21% risulta ancora iscritto. Un percorso professionalizzante potrebbe contribuire a recuperare nel processo formativo quella quota di giovani che rischia di disperdersi, o di prolungare oltremodo la propria permanenza all’Università». Il tutto in un contesto in cui nel 2014 il 32% degli italiani tra i 20 e i 34 anni (contro una media europea del 20%) non era coinvolto in percorsi formativi o lavorativi. A un anno dal conseguimento del titolo non studia e non lavora il 24% dei diplomati degli istituti tecnici, contro il 17% del totale dei diplomati e il 4,8% di chi ha seguito il liceo. Dal 2001 a oggi, il numero di immatricolati provenienti dagli istituti tecnici è diminuito del 52,9%, con una perdita di oltre 42 mila unità. L’attivazione di un percorso professionalizzante terziario, adeguatamente supportato da un’attività di orientamento nella scuola superiore, consentirebbe di riagganciare al circuito della formazione un gruppo di diplomati – quelli tecnici – che non trova nell’attuale offerta formativa terziaria risposta alle aspettative di innalzamento del titolo di studio.
Del resto, se le previsioni sono corrette, nel prossimo decennio in Italia serviranno almeno 2 milioni di profili tecnici, vale a dire il 17% dei futuri posti di lavoro: infatti, stando alle recenti stime pubblicate dal Cedefop (Centro europeo per lo sviluppo della formazione professionale) da qui al 2025 si genereranno nuove opportunità occupazionali, sia di tipo dipendente che autonomo, per oltre 2 milioni di profili tecnici intermedi, tra cui la quota più significativa nel campo dell’ingegneria. L’Italia è, dopo la Germania (quasi 3 milioni di tecnici) e la Francia (2,2milioni), il paese europeo dove si concentreranno le maggiori opportunità occupazionali per le figure tecniche; molte più di quante se ne avranno in Gran Bretagna e Spagna, dove la domanda si fermerà rispettivamente a quota 1,5 e 1,3 milioni. Ma cresce anche il livello di formazione richiesta ai tecnici. Così, alla richiesta di competenze tecniche sempre più specializzate, farà da contraltare anche un innalzamento del livello formativo. Stando all’indagine sulle previsioni di assunzione delle imprese italiane realizzata da Unioncamere-Exclesior, tra 2011 e 2015, la quota di laureati richiesti per profili tecnici è passata dal 42% al 50 per cento. Tale evoluzione non sarà sufficiente a colmare il gap formativo della forza lavoro italiana: nel 2014, su 100 profili tecnici intermedi in Italia quelli occupati sono “solo” 27 (contro un valore medio europeo del 39%). Giorgio Costa

Foto del profilo di Andrea Gentile

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