L’INTERVENTO/3: Diritto d’asilo, non si fa una riforma sull’onda emotiva di Vittorio Gaeta e Armando Spataro (Il Sole 24 Ore)

IL SOLE 24 ORE

Diritto d’asilo, non si fa una riforma sull’onda emotiva

di Vittorio Gaeta e Armando Spataro

Da tempo è diffusa la credenza che i problemi della giustizia si risolvano con la riforma delle procedure. Nata nel penale, col Codice di procedura del 1988 che avrebbe dovuto arginare la criminalità e tutelare gli innocenti dalle accuse ingiuste e non essendovi riuscito ha ricevuto infiniti “perfezionamenti” (dei quali diversi giuristi auspicano il “fermo biologico”), questa illusione ha contagiato il processo civile, la cui esigenza di attuare i diritti in modo efficiente rimane però insoddisfatta. Vero è che le riforme, che comportando forti riadattamenti non riducono né accelerano nell’immediato il lavoro di magistrati e avvocati, andrebbero fatte solo per cambiare norme ambigue o sbagliate, o per semplificare davvero le procedure.
Adesso è il turno della materia palpitante della protezione internazionale dei migranti (diritto di asilo), il cui contenzioso grava pesantemente sugli uffici ed è regolato da norme processuali già tre volte modificate negli ultimi dieci anni. In un’audizione parlamentare dello scorso 21 giugno il ministro della Giustizia ha annunciato l’intenzione di ulteriori modifiche radicali, non si sa se da introdurre con disegno di legge o addirittura con decreto-legge, i cui punti principali consisterebbero in: 1) videoregistrazione dei colloqui dei migranti con le Commissioni amministrative che decidono sulle domande di asilo; 2) riduzione del numero dei Tribunali competenti sulle impugnazioni dei provvedimenti delle Commissioni; 3) soppressione dell’udienza; 4) soppressione dell’appello contro le decisioni dei Tribunali.
In attesa del testo delle proposte, nessuna di queste modifiche sembra idonea a tutelare l’esigenza di dare rapida protezione a chi ha diritto di asilo facilitando l’allontanamento di chi non lo ha.
La videoregistrazione avrebbe costi economici elevati e sarebbe quasi sempre un doppione dei solitamente accurati verbali dei colloqui. L’accentramento in 12 Tribunali delle competenze danneggerebbe gli avvocati, spesso già oggi ostacolati dall’amministrazione nei colloqui coi loro assistiti ricoverati nei Cara, senza aumentare in modo tangibile efficienza o specializzazione dei giudici. La soppressione dell’udienza impedirebbe alle parti di esporre le proprie ragioni nel contatto con un giudice, che a quanto pare potrebbe formarsi in maniera solipsistica il suo convincimento sull’attendibilità dello straniero guardando la videoregistrazione del colloquio con la Commissione: nulla di più contrastante col diritto costituzionale di difesa. Sopprimere l’appello, infine, significa eliminare una garanzia rapida ed efficiente contro le decisioni sbagliate dei Tribunali e costringere le parti a rivolgersi senza alcun filtro alla già oberata Cassazione: e se dopo anni (anziché i mesi dell’appello) la Cassazione dovesse escludere il diritto di asilo riconosciuto dal Tribunale, o viceversa, chi rimuoverà le conseguenze dell’errore commesso?
In effetti, prima di modificare le procedure occorrerebbe qualche riflessione in più. Per esempio, sul fatto che i fenomeni migratori sono così imponenti e complessi da non poter essere risolti dai Tribunali; che i dati effettivi del contenzioso sull’asilo, dati il cui studio sarebbe premessa di ogni riforma, non sono tuttora disponibili, come riconosce lo stesso ministro nell’audizione del 21 giugno; che le competenze in materia di immigrazione non dovrebbero più essere spezzettate tra giudici ordinari, Tar e giudici di pace ma concentrate presso il solo giudice ordinario, con aumento di organici e maggiore personale di cancelleria. Gioverebbe il coinvolgimento in quelle riflessioni dei magistrati (anche dei Pm, parti delle cause civili di asilo), dell’università e dell’avvocatura.

Foto del profilo di Andrea Gentile

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