DIRITTO SOCIETARIO: Diventa possibile una gestione stabile ed efficiente (Il Sole 24 Ore)

IL SOLE 24 ORE

Le conseguenze. Vantaggi e svantaggi a confronto
Diventa possibile una gestione stabile ed efficiente

Quando un soggetto è titolare di un dato bene, almeno tre sono le situazioni possibili:
un atteggiamento completamente passivo, come ad esempio nel caso in cui il bene venga tenuto a disposizione del proprietario, il quale abbia verso il bene stesso un atteggiamento di sostanziale indifferenza (usarlo con frequenza, non usarlo mai, usarlo saltuariamente);
un comportamento “gestionale”, finalizzato a procurare utilità ulteriori rispetto alla mera appartenenza del diritto, che ha esemplificazione nel caso del proprietario dell’immobile che lo destini alla locazione oppure nel caso del proprietario di una pluralità di immobili o di un patrimonio mobiliare che svolga un’attività di amministrazione con riguardo a tali beni;
un comportamento “commerciale”, cioè il caso di chi compri un immobile al fine della sua ristrutturazione (o del suo frazionamento) e della sua successiva vendita.
Quest’ultimo caso, in cui si svolge un’attività tipicamente commerciale, non è gestibile sotto la specie della società semplice: in queste ipotesi, la legge impone il ricorso a snc o sas o a una delle società di capitali.
Il caso del comportamento “gestionale” è quello in cui gli Studi del Consiglio nazionale del Notariato finalmente sdoganano l’utilizzo della società semplice. Ciò significa che, in tali ipotesi, si riconosce che il nostro ordinamento concede l’opzione di regolamentare questa attività sotto due diverse forme organizzative: mediante il (relativamente) “nuovo” sistema della società semplice e mediante il tradizionale sistema della comunione ordinaria (che è peraltro l’unico sistema di regolamentazione delle mere appartenenze). Le differenze tra una gestione in comunione e una societaria sono ad esempio, che: 
nella comunione, il diritto in contitolarità appartiene ai comproprietari, mentre nella società semplice appartiene alla società stessa (se vi sono pretese creditorie verso un partecipante, nel primo caso esse si dirigono direttamente sulla quota del bene in comproprietà mentre, nel secondo caso, si devono dirigere sulla quota di partecipazione del socio al capitale sociale); 
il comproprietario può fare direttamente uso della cosa comune, proporzionalmente all’entità della sua quota di contitolarità, mentre nella società le decisioni di utilizzo della cosa comune appartengono, di regola, a chi ne ha l’amministrazione;
l’amministrazione ordinaria della comunione si compie secondo il volere della maggioranza dei partecipanti, mentre per l’amministrazione straordinaria e le innovazioni occorre la maggioranza dei due terzi; nella società semplice, di regola, ciascun socio è anche amministratore e rappresentante della società e ciascun amministratore può compiere (in via disgiunta dagli altri amministratori) qualsiasi atto di ordinaria e straordinaria amministrazione;
la quota di comproprietà si può liberamente cedere mentre, per la quota di società semplice (trattandosi di una modificazione dei patti sociali) occorre di regola il consenso di tutti i soci.
Da queste poche osservazioni (tante altre se ne potrebbero fare) emerge che la comunione è, di regola, più effimera, meno strutturata e con decisioni più difficili da raggiungere, mentre la società semplice (salve le variazioni inseribili nei patti sociali per alterare il quadro delineato dal legislatore) appare più stabile, organizzato ed efficiente. A.Bu.

Foto del profilo di Andrea Gentile

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