CASSAZIONE: Società consortile anche se c’è lucro (Il Sole 24 Ore)

IL SOLE 24 ORE

Sezioni Unite. Superato il contrasto tra interpretazioni circa l’obbligo di rifatturazione dei ricavi
Società consortile anche se c’è lucro

La società consortile può svolgere, oltre alla sua tipica attività consortile, anche una distinta attività commerciale con scopo di lucro. È quindi da superare la tesi, pure seguita in Cassazione anche in recenti sentenze, per la quale le strutture consortili non potrebbero avere alcun vantaggio economico, ma dovrebbero sempre ritrasferire alle imprese consorziate il vantaggio ottenuto dallo svolgimento dell’attività consortile. È quanto deciso dalle Sezioni Unite della Cassazione nella sentenza n. 12190 depositata ieri, in una fattispecie originata da un avviso di accertamento Iva emesso sulla base della contestazione di una mancata fatturazione alla società consortile da parte delle imprese ad essa consorziate.
Quanto alla tematica fiscale, le Sezioni Unite puntualizzano che le possibili situazioni (e le relative conseguenze in tema di fatturazione) devono essere valutate caso per caso; infatti, la differenza tra quanto fatturato dal consorzio al terzo suo committente e quanto fatturato dal consorziato al consorzio, può essere variamente inquadrata, poichè infatti può essere una differenza costituita:
a) dal costo delle spese di gestione generali ripartito tra i singoli consorziati e addebitato al consorziato in occasione dell’affidamento dei lavori;
b) dal costo di specifici servizi forniti dal consorzio al consorziato in relazione ai lavori che questo è chiamato a svolgere;
c) dalle provvigioni dovute dal consorziato (mandante) al consorzio (mandatario senza rappresentanza), escluse dall’imponibile Iva ai sensi dell’articolo 13 del Dpr 633/1972;
d) dal costo e dagli utili per ulteriori servizi forniti solo dal consorzio, quale soggetto imprenditoriale, in favore del terzo committente, in relazione ai lavori posti in essere dal consorziato a seguito della commessa in suo favore.
È evidente – secondo le Sezioni Unite – che l’individuazione di quanto si verifica nel caso concreto costituisce un problema di prova e di onere della prova: nelle prime due ipotesi, dunque, la differenza dell’ammontare fatturato, nel caso di compensazione tra consorziato e società consortile, in assenza di dettaglio di costi e ricavi, si risolve in un occultamento dei ricavi del consorziato; costituisce pertanto onere del consorziato fornire la prova che tale differenza non sia costituita da ricavi. Quanto alle altre due ipotesi, è ugualmente onere del consorziato provare che la differenza suddetta sia costituita da provvigioni o da servizi resi dal consorzio al terzo.
Sotto il profilo civilistico, invece, le Sezioni Unite sottolineano che lo scopo di mutualità (tipico della società consortile) non contraddice allo scopo di lucro, inteso come esigenza di economicità della gestione dell’attività svolta, con la conseguenza che la società consortile ben può conseguire autonomi ricavi dall’attività compiuta nei confronti dei terzi, salvo il perseguimento dello scopo mutualistico nei rapporti interni con le imprese consorziate. In questa situazione, il consorzio legittimamente evita di addossare alle società consociate eventuali maggiori oneri connessi alle spese di funzionamento della organizzazione consortile, ricavando dallo svolgimento della sua attività “esterna” i proventi necessari a coprire integralmente tali costi, trasferendoli, attraverso la applicazione di una percentuale di ricarico, sul maggiore corrispettivo che riceve dai terzi committenti. Angelo Busani

Foto del profilo di Andrea Gentile

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