CASSAZIONE: Si può tornare al centralizzato (Italia Oggi Sette)

ITALIA OGGI SETTE

La Cassazione su una delibera illegittima di passaggio al riscaldamento autonomo
Si può tornare al centralizzato
La richiesta di ripristino non costituisce abuso del diritto

Dom. 27 – Non costituisce abuso del diritto la richiesta del condomino che, dopo avere ottenuto la dichiarazione dell’illegittimità della delibera assembleare che aveva soppresso l’impianto centralizzato di riscaldamento, ne pretenda il ripristino. E questo anche ove nel frattempo siano passati molti anni e i condomini abbiano provveduto all’installazione di impianti individuali nei rispettivi appartamenti. Lo ha stabilito la seconda sezione civile della Cassazione con la sentenza n. 1209/2016.
Il fatto. Nel caso di specie la proprietaria di due unità immobiliari comprese in un edificio condominiale aveva convenuto in giudizio il condominio, in persona del proprio amministratore pro tempore, per sentirlo condannare all’immediato ripristino del servizio centralizzato di riscaldamento. La stessa aveva premesso di avere ottenuto in un precedente giudizio la dichiarazione della nullità della delibera assembleare che aveva autorizzato tale trasformazione e che tale sentenza, confermata in sede di appello, era passata in giudicato. Il condominio si era quindi costituito nel nuovo giudizio eccependo l’intento esclusivamente emulativo dell’azione giudiziaria, poiché nel frattempo tutti i condomini si erano dotati di propri impianti individuali. Secondo il condominio, quindi, la domanda di ripristino dell’impianto preesistente andava integralmente rigettata, poiché l’unico scopo della condomina attrice era quello di recare un danno agli altri comproprietari. Il tribunale, qualificata la domanda come di natura possessoria, aveva però provveduto ad accoglierla, ordinando al condominio di reintegrare la condomina nel possesso dell’impianto di riscaldamento centralizzato, mediante il ripristino del medesimo.
La sentenza era stata prontamente impugnata dinanzi alla Corte di appello che, qualificando invece la domanda come petitoria, aveva ritenuto la stessa di natura meramente emulativa, rigettandola quindi integralmente. I giudici di secondo grado avevano evidenziato come, non essendo stata ottenuta a suo tempo la sospensione dell’efficacia della delibera impugnata, i condomini avessero provveduto a costosi interventi per l’installazione nei propri appartamenti di altrettanti impianti individuali di riscaldamento. Oltre a ciò il ripristino del vecchio impianto centralizzato, secondo quanto risultante da una consulenza tecnica svolta nel corso del giudizio, non sarebbe stato possibile con le medesime caratteristiche che lo stesso aveva in precedenza, perché non più a norma di legge per quanto riguardava il rispetto della disciplina in materia di sicurezza. Di qui l’ingente esborso economico che il condominio sarebbe stato costretto a sopportare a fronte di tale intervento. Secondo la consulenza tecnica d’ufficio, infatti, i relativi costi si sarebbero aggirati tra i 173.500,00 e i 251.500,00 euro, oltre alle spese per la messa a norma della centrale termica.
Secondo la Corte di appello, quindi, la domanda di parte attrice configurava un evidente caso di abuso del diritto, poiché la stessa, che pure aveva ottenuto la dichiarazione dell’invalidità della delibera impugnata, avrebbe potuto ottenere comunque un ristoro economico ai danni subiti in relazione all’illegittima costrizione a installare degli impianti autonomi nelle unità immobiliari di proprietà esclusiva. I giudici di secondo grado avevano altresì richiamato l’evoluzione legislativa diretta a incentivare la trasformazione in autonomi degli impianti di riscaldamento centralizzati, evidenziando come il risultato del preteso ripristino avrebbe condotto alla messa in funzione di un impianto ormai obsoleto e non più in linea con le politiche di risparmio energetico e di sicurezza. Avverso tale decisione la condomina aveva quindi presentato ricorso in Cassazione.
La decisione della Suprema corte. La ricorrente, nello svolgere la sua impugnazione dinanzi alla Cassazione, aveva in primo luogo contestato l’applicabilità al caso di specie del principio dell’abuso del diritto che, secondo la propria tesi difensiva, essendo stato elaborato dalla giurisprudenza sulla base degli artt. 1175 e 1375 c.c., avrebbe dovuto rimanere circoscritto all’ambito contrattuale. In ogni caso, sempre secondo la ricorrente, nel caso specifico non vi sarebbero neppure stati i presupposti per la sua applicazione, poiché il diritto a ottenere il ripristino del vecchio impianto centralizzato invalidamente smantellato per decisione dell’assemblea costituiva l’unica modalità prevista dall’ordinamento per eliminare le conseguenze illegittime dell’operato del condominio. In altri termini, secondo la ricorrente, l’abuso del diritto sarebbe stato configurabile soltanto laddove, a fronte di un diritto, il titolare avesse a disposizione diverse modalità per la sua pratica attuazione e scegliesse quella più afflittiva per la controparte, agendo quindi più con lo scopo di recare un pregiudizio all’avversario che di godere di un vantaggio proprio.
Su questo specifico punto i supremi giudici hanno tuttavia premesso che, trattandosi di causa vertente in tema di comproprietà di un bene condominiale, la possibile antigiuridicità della condotta posta in essere dalla condomina ricorrente andava verificata con riferimento alla previsione di cui all’art. 833 c.c., contenente il noto principio per cui il proprietario non può compiere atti che non abbiano altro scopo se non quello di nuocere o recare molestia ad altri. La disposizione in questione, come parimenti evidenziato dalla Cassazione, ha la finalità di assicurare che l’esercizio del diritto di proprietà risponda alla funzione riconosciuta al titolare dall’ordinamento, impedendo che i poteri e le facoltà dal medesimo esercitabili si traducano in atti privi di alcun interesse per il proprietario ma che, per le concrete modalità con le quali sono posti in essere, abbiano l’effetto di recare pregiudizio ad altri consociati. Anche nell’ambito della proprietà e dei diritti reali è dunque applicabile il principio più generale dell’abuso del diritto che, nello specifico, emerge dal disposto di cui al predetto art. 833 del codice civile. Tuttavia, perché la condotta del proprietario possa considerarsi tale, la stessa deve rivelarsi oggettivamente priva di utilità per quest’ultimo e di per sé idonea ad arrecare danno a terzi. Pertanto, secondo la Cassazione, non può ritenersi emulativo l’atto che comunque risponda a un interesse del proprietario, dovendo escludersi che il giudice possa compiere una valutazione comparativa discrezionale fra gli interessi in gioco ovvero formulare un giudizio di meritevolezza e di prevalenza fra l’interesse del proprietario e quello di terzi.
Nel venire alla questione concreta, i giudici di legittimità hanno quindi rilevato come il diritto al ripristino dell’impianto di riscaldamento azionato dalla condomina rispondesse oggettivamente all’utilità della stessa di potere usufruire di un servizio comune che era stato, si noti bene, illegittimamente disattivato dall’assemblea condominiale. Del resto i condomini si erano successivamente dotati di propri impianti autonomi proprio in attuazione della medesima delibera, quindi sempre sulla base di un presupposto illegittimo. Secondo la Cassazione la sentenza di secondo grado aveva quindi errato nel ritenere che la condotta della condomina concretasse una fattispecie di abuso del diritto. I giudici di appello, infatti, nell’assumere tale decisione, da un lato avevano fatto riferimento alla natura e all’entità delle opere di radicale trasformazione che si sarebbero rese necessarie per il ripristino dell’impianto (quando ormai tutti gli altri condomini si erano dotati di impianto unifamiliare), dall’altro si erano richiamati alla circostanza che la condomina attrice avrebbe potuto dotarsi di un impianto autonomo e chiedere tutto al più il risarcimento del danno determinato dai costi e dai disagi subiti nell’adeguarsi alla delibera assembleare.
In tal modo, però, come correttamente ravvisato dalla Suprema corte, si era pervenuti all’individuazione di una fattispecie di abuso del diritto sulla base di un inammissibile giudizio di proporzionalità fra l’utilità conseguibile dalla condomina e l’onerosità che ne sarebbe derivata agli altri comproprietari. Ma, come evidenziato in precedenza, non sono queste le caratteristiche proprie di detto istituto giuridico. In casi del genere, quindi, per quanto costoso per la collettività condominiale, deve essere assicurato al condomino che correttamente si dolga dell’agire dell’assemblea il diritto di pretendere il ripristino dello status quo antecedente alla deliberazione illegittima. Da questo punto di vista è anche utile evidenziare l’importanza, in siffatte eventualità, di una ponderata valutazione da parte del giudice dell’impugnazione sulla sussistenza delle esigenze cautelari che possono portare alla sospensione dell’efficacia della delibera in attesa della sentenza di merito (nella specie l’istanza di cui all’art. 1137 c.c. era stata respinta dal tribunale presso il quale era stata impugnata la deliberazione che aveva soppresso l’impianto centralizzato). Gianfranco Di Rago

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