CASSAZIONE: Sequestro preventivo da provare (Il Sole 24 Ore)

IL SOLE 24 ORE

Cassazione. Nessuna presunzione automatica se il proprietario è uno dei prossimi congiunti dell’interessato
Sequestro preventivo da provare

È illegittimo il sequestro preventivo finalizzato alla confisca su un bene intestato a soggetto diverso dall’indagato se non è provata l’intestazione fittizia: non è applicabile, infatti, alcuna presunzione, poiché sono necessarie prove concrete sulla disponibilità. A chiarire questo importante principio è la sentenza 24816/2016 della Cassazione depositata ieri.
Un contribuente è stato indagato per il reato di omessa dichiarazione Iva (articolo 5 del Dlgs 74/2000) e il Gip del Tribunale, su richiesta del Pm, ha disposto il sequestro preventivo per equivalente.
Il provvedimento cautelare è stato confermato anche dal Tribunale del riesame e l’indagato ha proposto così ricorso per Cassazione.
Nell’impugnazione, il contribuente lamentava, tra le diverse eccezioni, che la motivazione della decisione era carente in ordine alla riferibilità all’indagato dei beni oggetto di sequestro. In particolare, gli stessi erano intestati a una società e il giudice non aveva spiegato la relazione tra la formale intestazione a un terzo e la presunta disponibilità in capo al contribuente.
Confermando sul punto le ragioni della difesa, la Cassazione ha rilevato che nel caso specifico la sentenza del Tribunale aveva omesso qualunque valutazione sulla possibile intestazione fittizia dei beni sequestrati.
È stato così precisato che in tema di sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, quando il bene è formalmente intestato a terzi, pur se prossimi congiunti dell’indagato, non opera alcuna presunzione di intestazione fittizia. Incombe, infatti, sul Pubblico ministero l’onere di dimostrare situazioni da cui desumere concretamente l’esistenza di una discrasia tra intestazione formale e disponibilità effettiva del cespite.
La decisione conferma l’orientamento della giurisprudenza di legittimità più favorevole al contribuente. La sentenza 10194/2015 ha precisato che il concetto di «disponibilità» va ricondotto alla relazione «effettuale del condannato con il bene, caratterizzata dall’esercizio dei poteri di fatto corrispondenti al diritto di proprietà».
La disponibilità coincide, pertanto, con il possesso definito dall’articolo 1140 del Codice civile, e cioè il potere sulla cosa che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale. Si può possedere direttamente o per mezzo di altra persona, che ha la detenzione della cosa.
Da ciò consegue che non è necessario che i beni siano nella titolarità del soggetto indagato, ma è sufficiente che egli abbia un potere sugli stessi che può esercitare direttamente o a mezzo di altri soggetti.
A tal fine è necessario però che il pubblico ministero dimostri la disponibilità del bene da parte dell’indagato, fornendo la prova di un’intestazione formale ad un terzo.
Nella specie, quindi, sebbene la società titolare dei beni fosse riconducibile al contribuente, secondo i giudici di legittimità non era di per sé sufficiente per provare la disponibilità degli stessi.
Va tuttavia segnalato che con la sentenza 7553/2016, la Cassazione ha ritenuto legittimo il sequestro preventivo di un conto corrente di una società estranea al reato, in cui l’indagato aveva solo una delega ad operare senza limiti di importi, poiché rappresentava espressione di disponibilità. In quel caso, la titolarità di una delega ad operare su un conto corrente bancario intestato ad altri, secondo la Suprema corte, configurava l’ipotesi di disponibilità richiesta dalla norma ai fini dell’ammissibilità del sequestro finalizzato alla confisca per equivalente. Antonio Iorio

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