CASSAZIONE: Sanzione alla banca, paga il dipendente (Il Sole 24 Ore)

IL SOLE 24 ORE

Credito. Se dovuta a comportamento del lavoratore
Sanzione alla banca, paga il dipendente

Tempi duri per i dipendenti responsabili di violazione della normativa in materia di intermediazione finanziaria. Con la sentenza 6255/2016 la Cassazione ha infatti stabilito che le banche devono esercitare l’azione di regresso prevista dall’articolo 195, comma 9, del Dlgs 58/1998 (testo unico finanza, Tuf) in tutti i casi in cui esse abbiano dovuto pagare una sanzione amministrativa irrogata dalle autorità di vigilanza, se la violazione è da imputarsi alla condotta del proprio dipendente o del proprio organo societario.
Il caso deciso dalla Suprema corte ha interessato il ricorso promosso dal vicedirettore generale e responsabile area finanziaria di una banca contro il licenziamento intimatogli per giusta causa, in seguito all’accertamento di una pluralità di illeciti, consistenti nella violazione della normativa antiriciclaggio, per cui all’istituto di credito è stata applicata anche una sanzione amministrativa dalla Consob.
Il licenziamento, già ritenuto valido sia dal tribunale che dalla Corte d’appello, anche in ragione della idoneità dei fatti contestati a ledere irreparabilmente il vincolo fiduciario sotteso al rapporto di lavoro, sia per la loro gravità sia per la posizione rivestita dal lavoratore e il grado di affidamento richiesto, è stato sottoposto dall’ex funzionario al vaglio della Cassazione che ha, però, ritenuti infondati (e, in parte, anche inammissibili) i motivi d’appello proposti.
Sorte diversa, invece, quella dell’appello incidentale proposto dalla banca, che i giudici hanno accolto.
L’istituto di credito ha infatti chiesto la riforma della sentenza di secondo grado, laddove aveva escluso di poter ritenere nulla la delibera del consiglio di amministrazione con cui la banca si era assunta l’onere, anche nei confronti delle pubbliche amministrazioni, di assolvere tutti i debiti per le sanzioni conseguenti alle violazioni commesse dai rappresentanti o dai dipendenti della società nello svolgimento delle mansioni assegnate.
Sul punto la Corte ha evidenziato la natura imperativa della norma indicata dall’articolo 195, comma 9, del Dlgs 58/1998, per cui la banca è obbligata a non lasciar a carico del proprio patrimonio la sanzione pecuniaria, di cui deve chiedere il rimborso al dipendente (o al proprio organo) che il decreto sanzionatorio ha individuato come responsabile della condotta illecita.
Ne discende che una delibera di tenore analogo a quella impugnata dalla banca è nulla per contrarietà a una norma imperativa, posta a tutela tanto della trasparenza del mercato finanziario che del risparmio (in base all’articolo 47 della Costituzione).
In conclusione occorre precisare come l’azione di regresso prevista dal Tuf sia stata di recente abrogata dall’articolo 5, comma 15, del Dlgs 72/2015 (decreto di attuazione della direttiva 2013/36/Ue -Crd IV), che ha però introdotto una nuova disposizione all’articolo 190 bis del Dlgs 58/1998, ove è prevista l’applicazione di una sanzione amministrativa anche in capo all’autore dell’illecito quando l’inosservanza è conseguenza della violazione di doveri propri (o dell’organo di appartenenza) e ricorrono una o più delle condizioni indicate dal legislatore. Olimpio Stucchi

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