CASSAZIONE: Riciclaggio se si prova il delitto presupposto (Il Sole 24 Ore)

IL SOLE 24 ORE

Cassazione. Capitali illecitamente detenuti all’estero: il reato tributario non si presume
Riciclaggio se si prova il delitto presupposto

Per i capitali illecitamente detenuti all’estero sussiste il reato di riciclaggio solo se l’accusa prova l’esistenza del delitto presupposto, non potendosi solo presumere l’illecito tributario. È questo uno dei principi della sentenza 13901 depositata ieri della Cassazione, Seconda penale. La pronuncia è di particolare attualità sia per i Panama papers, sia perché è ormai vigente il delitto di autoriciclaggio che non richiede l’estraneità del “riciclatore” rispetto al reato presupposto.
Una persona era imputata (anche) del reato di riciclaggio in quanto avrebbe fatto rientrare in Italia somme di denaro depositate negli anni dal padre defunto. Secondo la tesi accusatoria era configurabile anche il reato di riciclaggio stante il reato tributario originariamente consumato dal defunto da cui provenivano le somme poi trasferite all’estero, e la consapevolezza del figlio “erede” di tale illecita provenienza. A sostegno, la Procura evidenziava in sintesi che: 1) il defunto non aveva altri redditi oltre quelli societari e non era provvisto di autorizzazioni all’esportazione di valuta con la conseguenza che il trasferimento era avvenuto al tempo fraudolentemente e quindi conseguente a reati tributari; 2)il figlio (imputato) era necessariamente consapevole della provenienza illecita delle somme essendosi rivolto a consulenti per eseguire il rientro di capitali (scudo fiscale) e avendo distrutto la documentazione presente nel pc.
Dopo la condanna di primo grado, la Corte di appello assolveva l’imputato dal riciclaggio, evidenziando, in sostanza, che non esiste alcun automatismo tra il trasferimento all’estero di denaro e il ricorso al mezzo fraudolento, peraltro, all’epoca, non valeva la norma secondo cui, ai soli fini fiscali, i capitali esteri non dichiarati si presumono costituiti con redditi sottratti ad imposizione in Italia. In altre parole la provenienza delittuosa delle somme rappresentava solo una delle condotte ipotizzabili ma, nella specie, non era stata caratterizzata da alcuna prova idonea a escludere altre ipotesi alternative.
I giudici di legittimità hanno confermato l’assoluzione per il reato di riciclaggio chiarendo che non vi è alcuna concreta prova sul delitto tributario commesso dal defunto. È vero che per la giurisprudenza della Cassazione per la configurabilità del riciclaggio non è necessaria l’individuazione nei suoi esatti termini del reato presupposto, ma, nella specie, non è proprio possibile stabilire l’esistenza del delitto presupposto.
La pronuncia è importante, sia perché sono frequenti i casi in cui gli eredi provano a far rientrare le somme trasferite all’estero illecitamente in passato dal defunto, sia perché con l’autoriciclaggio risponde del reato anche l’autore del delitto fiscale. In entrambi i casi però sarà necessaria la prova della sussistenza di un delitto tributario a monte, e nell’ipotesi degli eredi, anche la loro consapevolezza del delitto tributario consumato in passato. Antonio Iorio

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