CASSAZIONE: Prescrizione d’ufficio solo su richiesta (Il Sole 24 Ore)

IL SOLE 24 ORE

Prescrizione d’ufficio solo su richiesta

Sab. 26 – Roma. Se il ricorrente lo chiede la Cassazione può rilevare d’ufficio la prescrizione maturata prima della sentenza impugnata e non dichiarata per errore dal giudice di merito. La Suprema corte non ha invece alcun margine di manovra nel caso in cui il ricorso sia inammissibile, anche se l’estinzione del reato c’è stata prima dell’Appello, ma non è stata eccepita nel grado di merito né rilevata da quel giudice e neppure dedotta dal diretto interessato tra i motivi del ricorso. Le Sezioni unite della Corte di cassazione, con la sentenza 12602, mettono la parola fine ad un contrasto che divide i giudici dagli anni ’90 e lo fanno distinguendo due situazioni.
La Suprema corte blocca la strada a qualunque possibilità d’intervento d’ufficio per dichiarare la prescrizione nel caso di un ricorso inammissibile nel quale il ricorrente non invochi la prescrizione già maturata ma “sfuggita” al giudice di merito.
Per la Cassazione tutte le ipotesi di inammissibilità previste, in via generale, dal codice di rito (articolo 591) e dall’articolo 606 per quello che riguarda in particolare il ricorso in Cassazione, viziano geneticamente l’atto provocando la “reazione” dell’ordinamento che risponde con una sanzione ad un potere di parte non correttamente esercitato. Si tratta di ipotesi – precisa la Corte – piò o meno agevoli da riscontrare, che fanno parte della struttura dell’atto in modo tale da renderlo non idoneo “ad investire il giudice del grado successivo della piena cognizione del processo”. Secondo la Cassazione si tratta di ipotesi per lo più strumentali, espressione di un tatticismo difensivo a fini dilatori attraverso il quale si tende ad allontanare il momento del passaggio in giudicato per “guadagnare” la prescrizione.
Né ad una conclusione diversa, auspicata dai fautori della tesi contraria, si può arrivare considerando la ratio ispiratrice dell’articolo 129 del codice di rito, sull’obbligo di immediata declaratoria di alcune cause di non punibilità, che persegue certamente l’obiettivo dell’effetto più favorevole per l’imputato e dell’economia processuale, ma lo fa nell’ambito di ben individuate circostanze processuali. La norma non “supera” infatti la disciplina dell’inammissibilità perché non attribuisce al giudice dell’impugnazione un autonomo spazio di decisione, svincolato dalle regole poste a presidio delle varie fasi del processo. La lettura che porta ad escludere la possibilità dell’intervento d’ufficio – precisano i giudici – è in linea anche con i diritti garantiti dalla Convenzione europea dei diritti dell’Uomo, dal momento che spetta alla parte interessata attivare correttamente il rapporto processuale d’impugnazione. Se non lo fa il giudice deve alzare le mani e “constatare” l’inammissibilità non potendo entrare nel merito del processo, il cui esisto rimane definito dalla sentenza invalidamente impugnata, che al più può essere emendata. Cambia tutto invece se nel ricorso per Cassazione è dedotta, sia pure come unico motivo, l’estinzione del reato per prescrizione maturata prima della sentenza d’appello, ma non eccepita dalla parte interessata nel grado di merito nè rilevata dal giudice. In questa ipotesi il ricorso non può ritenersi inammissibile e la causa di non punibilità, per errore non rilevata dal giudice di merito, deve essere dichiarata, in accoglimento del motivo proposto, in sede di legittimità. Patrizia Maciocchi

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