CASSAZIONE: Più giorni in carcere? Il penalista paga (Il Sole 24 Ore)

IL SOLE 24 ORE

Risarcimenti. Danno non patrimoniale se l’impugnazione tardiva della condanna fa perdere il patteggiamento
Più giorni in carcere? Il penalista paga

Roma. Risarcisce il danno il penalista che ritarda nell’impugnare la condanna facendo soffrire al cliente, che non ha potuto usufruire del patteggiamento, un periodo più lungo di detenzione. Né l’avvocato che ha commesso l’errore può rivalersi sull’assicurazione, perché il pregiudizio provocato è di natura non patrimoniale. La Corte di cassazione (sentenza 12280 depositata ieri) accoglie il ricorso dell’assicurazione contro la domanda di manleva del legale e fa chiarezza sulla responsabilità dell’avvocato che arriva in ritardo nell’impugnare una sentenza penale di condanna. Errore che era costato all’imputato 14 mesi in più di carcere rispetto alla pena ottenuta da altri coimputati per lo stesso reato che si erano visti abbattere il periodo detentivo per effetto del patteggiamento. La Corte d’Appello aveva quantificato il danno in oltre 100 mila euro. La cifra era stata calcolata in base al criterio dell’ingiusta detenzione, moltiplicando i 425 di reclusione in più per 235,83 euro al giorno, secondo il parametro fissato dalla norma. Per la Corte territoriale inoltre l’assicurazione era tenuta a coprire il legale. I giudici di seconda istanza avevano, infatti, affermato che il danno pur dovendo essere considerato di natura non patrimoniale, diventava patrimoniale in sede di liquidazione, rientrando quindi nella polizza assicurativa. Per la Suprema corte il ragionamento è sbagliato.
Il primo errore è nell’aver scelto il criterio dell’ingiusta detenzione. L’imputato era stato condannato per reati gravi a sette anni: una pena che avrebbe potuto essere ridotta grazie al patteggiamento, ma che tuttavia non era ingiusta. La Suprema corte rinvia dunque sul punto alla Corte d’Appello, invitandola a liquidare il danno, comunque patito, seguendo però un criterio equitativo. Il giudice del rinvio dovrà procedere ad un congruo taglio della cifra stabilita nella sentenza cassata, alla luce degli elementi della vicenda concreta: dalla durata effettiva della detenzione, ai reati per i quali è intervenuta la condanna, dalla situazione personale dell’imputato al suo comportamento. Il secondo errore commesso dai giudici di merito è quello di aver pensato che il danno non patrimoniale possa cambiare “veste” nel momento in cui viene liquidato. Una “trasformazione” impossibile pur essendo ovvio che la liquidazione traduce comunque il pregiudizio sofferto in un’entità economicamente valutabile. Senza rinvio la Suprema corte corregge sul punto la decisione con la quale la corte d’Appello aveva finito per cancellare completamente la differenza tra i due tipi di danno. Patrizia Maciocchi

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