CASSAZIONE: Per il riciclaggio giurisdizione italiana allargata (Il Sole 24 Ore)

IL SOLE 24 ORE

Fra Stati. Con una sola condotta legata al nostro Paese
Per il riciclaggio giurisdizione italiana allargata

Va riconosciuta la giurisdizione italiana per il reato di riciclaggio commesso in parte all’estero, quando nel territorio dello Stato si sia verificato anche solo un frammento della condotta che abbia oggettivo rilievo per la configurazione dell’illecito. Integra il reato, inoltre, il mero trasferimento di denaro di provenienza delittuosa da un conto corrente ad un altro, diversamente intestato ed acceso presso un altro istituto bancario. Ad affermare questi principi è la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24401 depositata ieri.
Un imprenditore veniva indagato per il reato di riciclaggio per aver investito denaro proveniente da frode fiscale commessa da un terzo soggetto. Il Gip disponeva così il sequestro preventivo su beni mobili ed immobili riconducibili all’indagato e la misura era confermata dal Tribunale del riesame. La difesa ricorreva in Cassazione, contestando sia la competenza per territorio dell’autorità giudiziaria italiana, poiché in realtà il denaro sarebbe stato movimentato all’estero, sia il fumus del reato. In particolare era lamentata l’assenza di prova in ordine alla provenienza delittuosa della somma, frutto di un semplice prestito da parte di un terzo e confluito sul conto corrente dell’imprenditore indagato (regolarmente tracciabile).
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. Circa l’asserita incompetenza dell’autorità italiana, i giudici hanno rilevato che il reato di riciclaggio si considera radicato in Italia qualora ricorrano più elementi sintomatici, indicativi della consumazione del reato anche solo in parte nel territorio italiano. La condotta delittuosa va infatti considerata in maniera unitaria, avendo riguardo alla complessiva attività di ripulitura del denaro. Nella specie, il riciclaggio del provento dell’asserita evasione fiscale era stato effettuato tramite una società di diritto inglese, facente capo però all’indagato, il quale impartiva direttive dal territorio italiano. Pertanto, era evidente che una parte della condotta si fosse verificata in Italia.
Quanto al fumus del reato, la Corte evidenzia che era stato provato tramite intercettazioni che il denaro trasferito dal terzo all’indagato – e da questo successivamente investito in ulteriori operazioni – fosse di provenienza illecita (frode fiscale). La consistenza economica del trasferimento e l’assenza di qualunque rapporto contrattuale lecito sottostante provava poi la consapevolezza dell’indagato circa la provenienza illecita del denaro. A tal fine viene ricordato dalla sentenza che integra di per sé un autonomo atto di riciclaggio – essendo tale reato a forma libera ed a consumazione prolungata, attuabile anche con modalità frammentarie e progressive – il mero trasferimento di denaro di provenienza delittuosa da un conto corrente ad un altro diversamente intestato, ed acceso presso un’altra banca. L’indagato, destinatario dei bonifici e consapevole dell’illiceità dell’operazione, deve così ritenersi concorrente nell’attività di riciclaggio. Da qui la conferma del sequestro a suo carico. Sara Mecca

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