CASSAZIONE: Padre stalker: figlia costretta a troppe visite mediche (Il Sole 24 Ore)

IL SOLE 24 ORE

Reato allargato. La fattispecie scatta sia nei confronti della minore «vessata» sia dell’ex compagna le cui scelte sono sempre contestate
Padre stalker: figlia costretta a troppe visite mediche

Stalking a danno della ex compagna e della figlia minore per il padre che mette ossessivamente in discussione le scelte della madre nei confronti della bambina e sottopone la minore controlli medici continui.
Per la Corte di cassazione (sentenza 50057) la contestazione eccessiva del ruolo dell’altro genitore e la cura “maniacale” dimostrata verso il proprio figlio fanno scattare il reato previsto dall’articolo 612-bis. Nel caso esaminato vittima del padre stalker sono sia la mamma sia la minore il cui sviluppo-psico fisico era stato compromesso dal comportamento del ricorrente. L’uomo si appostava vicino all’abitazione, telefonava, mandava telegrammi, faceva denunce all’autorità giudiziaria: il tutto per contestare il ruolo genitoriale della ex compagna e qualunque scelta da lei compiuta che riguardasse la figlia. Verso la bambina mostrava poi un’ “attenzione” ossessiva, costringendola a continue visite mediche, malgrado i suoi pianti e la sua ribellione. Che l’istinto di cura dell’uomo verso la figlia avesse un risvolto manicale è dimostrato anche dalle affermazioni dei medici che si erano occupati della vicenda, sia su incarico del tribunale dei minori sia privatamente su “mandato” dello stesso ricorrente. Il tribunale di primo grado aveva però assolto il padre con la formula “perché il fatto non costituisce reato”. Di parere diverso i giudici di appello e la Cassazione. Già il pubblico ministero, nella sentenza impugnata, aveva indicato come persone offese dal reato tanto la ex compagna quanto la figlia minore che, in conseguenza delle condotte persecutorie, aveva sviluppato delle «turbe della sfera emotivo- affettiva secondaria e una grave patologia dell’accudimento». Il Pm aveva individuato anche l’aggravante essendo la figlia di minore età. Secondo i giudici di merito era presente anche l’elemento del dolo. Il ricorrente non poteva non essere consapevole dell’idoneità dei suoi atti a scatenare lo stato di ansia e di timore per la propria incolumità nelle sue “vittime”, viste le reazioni immediatamente percepibili sia della madre sia della figlia. Non era possibile neppure ipotizzare che alla base delle condotte incriminate ci fosse una patologia, mai prospettata neppure dalla difesa, in grado di far venire meno l’elemento soggettivo del reato. Nè si poteva configurare l’esimente prevista dall’articolo 51 del codice penale che scrimina gli atti commessi nell’esercitare un proprio diritto o nell’adempimento di un dovere.
La composizione bonaria raggiunta dalla coppia non aveva infine inciso sulla determinazione della Corte d’Appello sezione minorile, di lasciare la bambina affidata agli operatori di neuropsichiatria infantile per assicurarle il sostegno psicologico e anche in funzione di un auspicato recupero del rapporto con il padre.

Foto del profilo di Andrea Gentile

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