CASSAZIONE: Notizie in sede civile valide nel penale (Il Sole 24 Ore)

IL SOLE 24 ORE

Fallimento. Le dichiarazioni rese al giudice delegato possono essere utilizzate nel procedimento per bancarotta
Notizie in sede civile valide nel penale
Sì all’inserimento senza garanzie nel fascicolo del dibattimento

Milano. Possono essere utilizzate come prova documentale nel processo penale le dichiarazioni rese in sede civile al giudice delegato. Lo ha affermato la Corte di cassazione con la sentenza 27898 della Quinta sezione penale, respingendo in questo modo il ricorso presentato dagli amministratori, di diritto e di fatto, di una srl dichiarata fallita per il reato di bancarotta fraudolenta documentale. Le difese avevano sostenuto l’inutilizzabilità nel giudizio penale, e quindi il divieto del loro inserimento nel fascicolo del dibattimento, delle dichiarazioni rese al giudice delegato perchè assunte in assenza del difensore e in violazione degli avvisi previsti dal Codice di procedura penale agli articoli 62 e 63.
La Cassazione nell’affrontare l’impugnazione ricorda il valore probatorio che, per giurisprudenza ormai consolidata, deve essere attribuito alla relazione e alle dichiarazioni che provengono dal fallito o dall’amministratore di una società fallita raccolte dal curatore. Vanno cioè considerate «come prove documentali in ogni caso e non solo quando siano ricognitive di una organizzazione aziendale e di una realtà contabile». Si tratta di un insieme di elementi assai rilevante nella ricostruzione delle vicende amministrative della società.
Principi che, se valgono per le dichiarazioni rese al curatore, devono valere anche, sottolinea la Cassazione, anche per le dichiarazioni raccolte dal giudice delegato, dal momento che svolgono la medesima funzione informativa, di ricostruzione delle vicende amministrative della società poi fallita. Infatti, osserva la sentenza, l’articolo 49 comma 2 della Legge fallimentare è chiaro nel puntualizzare che, se servono informazioni o chiarimenti per la gestione della procedura, l’imprenditore fallito o gli amministratori o liquidatori della società devono presentarsi indifferentemente davanti al giudice delegato, al curatore, o al comitato dei creditori, «avendo identica natura le informazioni che questi soggetti devono rendere, e ciò a prescindere dall’organo (dei tre indicati) che le raccoglie».
In ogni caso, per la Cassazione non è convincente il richiamo effettuato dalle difese alle norme del Codice di procedura penale che disciplinano l’acquisizione di verbali di prove assunte nel giudizio civile in quello penale e a quelle sulla valenza probatoria delle sentenze irrevocabili. Quella fallimentare, infatti, è una procedura che ha come obiettivo la liquidazione dell’attivo fallimentare, all’accertamento del passivo e alla soddisfazione della massa dei creditori del fallito e non è certo indirizzata a sfociare in una sentenza suscettibile di passare in giudicato.
Le dichiarazioni possono così essere ammesse come documenti sulla base di quanto stabilito dall’articolo 234 del Codice di procedura, mentre non può essere applicata la norma (articolo 63) sulle dichiarazioni indizianti e le relative garanzie che le devono assistere. In questo caso, infatti, come ha precisato la Corte costituzionale nella sentenza n. 136 del 1995 il giudice delegato on rientra nella nozione di autorità giudiziaria prevista. Vi rientrano il giudice penale e il pubblico ministero, ma non il giudice civile. Le garanzie del procedimento penale non possono infatti estese a un atto con obiettivi probatori del tutto diversi. Giovanni Negri

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