CASSAZIONE: La Cassazione stringe sul riciclaggio (Il Sole 24 Ore)

IL SOLE 24 ORE

Reati tributari. Dalle decisioni della Suprema Corte un orientamento particolarmente restrittivo anche per eventi all’estero
La Cassazione stringe sul riciclaggio

Lun.25 – Reati tributari sempre più a rischio di generare il delitto di riciclaggio in Italia: secondo un orientamento della Suprema Corte ormai consolidato, per far scattare la giurisdizione italiana nei reati di riciclaggio, in relazione a reati commessi in parte all’estero, è sufficiente che nel territorio dello Stato si sia verificato anche solo un frammento della condotta. A nulla rileva che quanto svolto nel nostro Stato sia privo dei requisiti di idoneità e di inequivocità richiesti per il tentativo, essendo sufficiente il collegamento tra la parte della condotta realizzata in Italia a quella realizzata in territorio estero.
Da qui la perseguibilità in Italia, ad esempio, di investimenti in banche estere di somme provenienti da violazioni fiscali commesse in Italia.
Con l’entrata in vigore del reato di autoriciclaggio (si veda l’altro articolo) e le maggiori possibilità da parte dell’amministrazione finanziaria italiana di acquisizione di informazioni presso Stati esteri fino a qualche anno fa coperte invece, dal massimo riserbo, il trasferimento e/o investimento all’estero di somme provenienti da delitto (nella specie di tipo tributario, societario e fallimentare) rischia di far scattare una delle condotte di riciclaggio. In tale contesto appaiono molto significative alcune recenti pronunce di legittimità che forniscono un’idea precisa dei rischi.
I confini del riciclaggio
Scatta il riciclaggio (articolo 648-bis del Codice penale) nei confronti di colui il quale, fuori dei casi di concorso nel reato, sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa. Se detti beni e denari sono impiegati in attività economiche si commette il reato di analoga gravità previsto dall’articolo 648-ter.
L’ipotesi più verosimile e potenzialmente più frequente pertanto è quella del contribuente che, dopo aver evaso commettendo un delitto previsto dal decreto legislativo 74/2000 (fatture false, sottrazione fraudolenta, dichiarazione infedele, omesso versamento, ecc) trasferisce o investe attraverso altre persone consapevoli della provenienza di tali importi.
Le indicazioni dei giudici
A questo proposito la giurisprudenza è stata sinora molto rigorosa. Così, è stato rilevato che integra il reato di riciclaggio il compimento di operazioni volte non solo ad impedire in modo definitivo, ma anche a rendere difficile l’accertamento della provenienza del denaro attraverso un qualsiasi espediente che consista nell’aggirare la libera e normale esecuzione dell’attività posta in essere (Cass. 1422/2012). E ancora integra di per sé un autonomo atto di riciclaggio qualsiasi prelievo o trasferimento di fondi successivo a precedenti versamenti, e anche il mero trasferimento di denaro di provenienza delittuosa da un conto corrente bancario a un altro diversamente intestato, e acceso presso un differente istituto di credito (Cass. 546/2011). Ciò pur in presenza di una completa tracciabilità dei flussi finanziari, atteso che, stante la natura fungibile del bene, per il solo fatto dell’avvenuto deposito, il denaro viene automaticamente sostituito (Cass. 47375/2009).
Non è necessario infatti che sia efficacemente impedita la tracciabilità del percorso dei beni, essendo sufficiente che essa sia anche solo ostacolata (Cass. 1422/2012 e 3397/2012). È stato invece escluso il reato in capo all’imprenditore che reimpiega in azienda le somme frutto di evasione fiscale (Cass. 9392/2015).
Il riciclaggio (a differenza dell’autoriciclaggio) richiede necessariamente il coinvolgimento di soggetti terzi estranei al delitto principale (da cui provengono i denari): la difficoltà da parte dell’accusa, spesso, risiede proprio nel provare la consapevolezza del terzo della provenienza delittuosa di tali beni/utilità.
Anche sotto questo profilo la giurisprudenza si è pronunciata in modo molto rigoroso ritenendo sufficiente addirittura il cosiddetto dolo eventuale che si configura in termini di rappresentazione da parte dell’agente della concreta possibilità della provenienza delittuosa del denaro desumibile dalle circostanze di fatto dell’azione. Antonio Iorio

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