CASSAZIONE: Bancarotta preferenziale, i limiti del curatore (Il Sole 24 Ore)

IL SOLE 24 ORE

Cassazione/2. Alle Sezioni unite il contrasto sulla legittimazione attiva all’esercizio dell’azione di risarcimento dei danni
Bancarotta preferenziale, i limiti del curatore

Il curatore ha la legittimazione attiva all’esercizio dell’azione di risarcimento dei danni per il delitto di bancarotta preferenziale? Con ordinanza della Cassazione, n. 15501 depositata il 26 luglio 2016, la questione è stata rimessa al primo presidente per l’eventuale assegnazione della decisione alle Sezioni unite.
La vicenda trae spunto da un giudizio intrapreso da una curatela nei confronti degli amministratori della società fallita a cui veniva imputato, tra l’altro, il danno causato dall’aver effettuato pagamenti preferenziali. La curatela, pur a fronte del parziale accoglimento della domanda, vedeva negata, sia in primo grado che in appello, la legittimazione attiva a far valere l’azione di risarcimento danni per il delitto di bancarotta preferenziale. Decisioni fondate sul presupposto che il pagamento di un creditore piuttosto che di un altro, pur lesivo della par condicio creditorum, sarebbe neutro rispetto al patrimonio dell’imprenditore, comportando la contemporanea elisione di una posta attiva e di una posta passiva di pari entità. Di conseguenza il curatore non sarebbe legittimato all’esercizio di una delle azioni sociali ex articoli 2393 e 2394 Cc, non potendosi individuare una lesione del patrimonio sociale.
La questione costituiva però il primo motivo del ricorso in Cassazione della curatela, che faceva riferimento all’articolo 240 legge fallimentare per il quale il curatore ha la «possibilità» di «costituirsi parte civile nel procedimento penale per i reati preveduti nel presente titolo, anche contro il fallito». Questa costituzione per tutte le ipotesi di reato, in forza dell’articolo 240 comma 2 legge fallimentare, esclude quella dei singoli creditori.
Inoltre, sempre secondo la difesa della curatela, il pagamento preferenziale con la lesione della par condicio creditorum arrecherebbe un danno alla massa, risarcibile soltanto dall’azione del curatore.
La Corte dapprima ricorda come ai fini della configurabilità del reato di bancarotta preferenziale è necessaria la violazione della par condicio creditorum nella procedura fallimentare, con la conseguenza che la condotta illecita non consiste nell’indebito depauperamento del patrimonio del debitore ma nell’alterazione dell’ordine, stabilito dalla legge, di soddisfazione dei creditori (Cassazione 15712/2014 e 40998/2014). Il delitto di bancarotta preferenziale tutela quindi gli interessi del ceto creditorio, cristallizzati dagli articoli 2740 e 2741 Cc: tutela che la giurisprudenza penale ha sempre ritenuto che il curatore potesse esercitare in sede penale.
Tutela che comporta la possibilità di far valere in sede penale le relative azioni di risarcimento del danno per qualsivoglia reato concorsuale, ivi compreso, dunque, quello di bancarotta preferenziale ex articolo 216 terzo comma l.f., non operando l’articolo 240 dell stessa legge alcuna distinzione tra i reati previsti dal titolo VI.
La Corte rileva poi che di differente avviso è la prevalente giurisprudenza di merito civile (non rinvenendosi precedenti di legittimità sul punto), sul presupposto della già richiamata assenza di un danno alla massa creditoria considerata nel suo complesso e nell’esistenza di un diverso strumento di tutela della par condicio creditorum, l’azione revocatoria. Contrasto di orientamenti che, secondo l’ordinanza in commento, merita l’intervento chiarificatore delle Sezioni unite. Giovanni B. Nardecchia

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