CASSAZIONE: Al giudice dell’esecuzione potere di revoca (Il Sole 24 Ore)

IL SOLE 24 ORE
Cassazione/2. Intervento possibile se in cognizione non è stata rilevata l’abolizione del reato
Al giudice dell’esecuzione potere di revoca
Roma. Il giudice dell’esecuzione può revocare la condanna inflitta dopo l’entrata in vigore della legge che ha abrogato la norma incriminatrice, se il giudice della cognizione non ha rilevato l’abolizione del reato. Le Sezioni unite della Cassazione, con la sentenza 26259 depositata ieri, sciolgono il contrasto sul potere del giudice dell’esecuzione di intervenire e superano l’orientamento in base al quale l’errore sarebbe emendabile solo attraverso gli ordinari mezzi di impugnazione. Il caso finito sul “tavolo” delle Sezioni unite, riguardava la contestazione del reato di permanenza illegale nel territorio dello Stato, nei confronti di un extracomunitario colpevole di non aver esibito i documenti di identità e il permesso di soggiorno. Il giudice di cognizione aveva condannato lo straniero, irregolare, per un fatto commesso nel 2010 senza tenere conto dell’effetto parzialmente abrogativo della legge 94 del 2009, in virtù della quale, come chiarito dalle sezioni unite (sentenza 16453/2011), il reato non è contestabile allo straniero in posizione irregolare visto che i documenti non li possiede.Per la Cassazione il giudice della cognizione non sarebbe incorso in un errore valutativo, il che avrebbe impedito di rimettere in discussione il giudicato, ma in un errore percettivo. Circostanza che legittima l’intervento del giudice dell’esecuzione tenuto, come garante della legalità della pena, a valutare se nel caso concreto la condanna debba essere revocata perché pronunciata per un fatto commesso dopo l’entrata in vigore della norma abrogatrice. La condanna successiva al “colpo di spugna” per via legislativa è infatti pronunciata in violazione del principio di legalità, come sottolineato a più riprese dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo. Le Sezioni unite ricordano la decisione con la quale la Consulta (sentenza 210/2013) ha affermato che il diritto alla libertà personale deve prevalere sull’intangibilità del giudicato. Un verdetto al quale si sono allineate le Sezioni unite (sentenza 32/2014) bollando come non accettabile l’applicazione di una pena avulsa dal sistema, come quella inflitta con una sentenza di condanna pronunciata su un fatto che, nel momento in cui è stato commesso, non aveva più un rilevo penale «e per questo era da ritenersi illegale ab origine». Patrizia Maciocchi

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