CASSAZIONE: Ad «revocato» per giusta causa (Il Sole 24 Ore)

IL SOLE 24 ORE

Cassazione. Per i giudici di legittimità va applicata per analogia la disposizione sul ritiro della fiducia da parte dell’assemblea
Ad «revocato» per giusta causa

sab. 16 – Milano. La revoca della delega all’amministratore delegato deve essere assistita da «giusta causa». In caso contrario è previsto il diritto al risarcimento del danno. Il principio è fissato dalla Corte di cassazione, prima sezione civile, con la sentenza 7587 depositata ieri. È stato così accolto il ricorso presentato dall’ad di una società che si era prima visto rinnovare l’incarico per un triennio e poi sottrarre le deleghe (compreso il potere di rappresentanza e di firma sociale) con decisione del consiglio di amministrazione sulla base di dissonanze intervenute nel frattempo.
La Corte d’appello di Brescia aveva ritenuto che il manager non avesse diritto a una somma di denaro come risarcimento perché la delega sarebbe sempre revocabile da parte del consiglio senza che il delegato possa invocare il principio previsto per tutti gli amministratori dall’articolo 2383 del Codice civile, per il quale la revoca da parte dell’assemblea, senza giusta causa, dà diritto al risarcimento del danno. Per i giudici di secondo grado, infatti, la libertà di revoca delle deleghe all’amministratore delegato, da parte del consiglio e diversamente da quanto disciplinato per l’assemblea, è collegata al dovere di vigilanza da parte degli amministratori ed è collegata non tanto a un rapporto di mandato, ma a un’ipotesi tipica di autorizzazione all’esercizio singolare dei poteri amministrativi che naturalmente spettano all’intero collegio e che possono cessare in ogni momento per vicende di vario genere.
La Cassazione sottolinea innanzitutto che, anche se la vicenda è anteriore alla riforma del diritto societario, il dato normativo è rimasto inalterato e riconosce l’assenza di conclusioni generalmente condivise sul diritto dell’amministratore delegato a ottenere un risarcimento.
Successivamente, i giudici della Cassazione precisano che, a differenza di quanto previsto dalla Corte d’appello, l’unica disposizione che deve fare da punto di riferimento è l’articolo 2383, terzo comma, del Codice civile, con il quale è stabilito il principio della risarcibilità dell’amministratore che ha subito la revoca dall’assemblea senza giusta causa. Una norma che afferma l’esistenza di un potere non illimitato da parte dell’assemblea, ma di una facoltà discrezionale e controllata «che è limitata, ovviamente, non già in vista del conseguimento degli interessi e degli obiettivi societari ma solo in considerazione del rispetto della posizione sociale ed economica dell’amministratore di società. Ossia in ragione della dignità e del sacrificio economico imposto alle persone che rivestono la carica amministrativa e che, in ragione dell’atto di revoca, vedono sacrificate, in una misura più o meno ampia, la propria posizione».
In questo contesto, allora, osserva la Cassazione, è privo di valore il ragionamento svolto da alcune sentenze di merito in base alle quali è sottolineata la diversità della revoca dell’ad da parte dell’assemblea rispetto a quella del consiglio. Tanto più quando le deleghe hanno come conseguenza lo svolgimento di un’attività amministrativa a termine, impegnativa e remunerata, «suscettibile di valutazioni e considerazioni professionali in un ambito riconducibile al mercato dei manager».
E allora, conclude la sentenza, tra i due casi (revoca da parte dell’assemblea e revoca da parte del consiglio) esiste un’identità di ratio che, in assenza di una disciplina specifica, giustifica il ricorso analogico alla misura del Codice civile, ammettendo così la risarcibilità del danno anche in caso di revoca della delega in assenza di giusta causa. Elemento quest’ultimo che, ovviamente, dovrà essere valutato adesso dal giudice di merito. Giovanni Negri

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