AVVOCATI: L’«abogado» è tenuto a intese specifiche con il collega italiano (Il Sole 24 Ore)

IL SOLE 24 ORE

Professionisti. L’accordo con l’avvocato nazionale deve essere fatto causa per causa
L’«abogado» è tenuto a intese specifiche con il collega italiano

La dichiarazione d’intesa dell’avvocato italiano e di quello “stabilito” deve riguardare uno specifico processo. È quindi senza effetti un’intesa preventiva di carattere generale e priva di qualunque riferimento al giudizio in cui viene esibita. Lo afferma il Tribunale di Torino (giudice Ivana Peila), in un’ordinanza del 19 ottobre su una causa di opposizione all’esecuzione (articolo 615 del Codice di procedura civile).
La convenuta ha eccepito la nullità della procura alle liti rilasciata dal ricorrente ai propri difensori, uno dei quali era avvocato stabilito; era, cioè, il legale di uno Stato Ue, che esercita stabilmente in Italia col titolo professionale di origine ed è iscritto nella sezione speciale dell’Albo avvocati (articolo 3, comma 1, lettera d, del Dlgs 96/2001).
Il Tribunale dichiara l’irregolare costituzione del ricorrente. Il giudice ricorda che l’articolo 8 del Dlgs 96/2001 dispone che, nell’esercizio delle attività relative a rappresentanza, assistenza e difesa nei giudizi civili (ma anche penali e amministrativi, nonché nei procedimenti disciplinari in cui è necessaria la nomina di un difensore), l’avvocato stabilito deve agire d’intesa con un professionista abilitato a esercitare col titolo di avvocato. Quest’ultimo assicura i rapporti con l’autorità italiana ed è responsabile, nei confronti della stessa, dell’osservanza dei doveri imposti ai difensori. L’intesa in questione deve risultare da scrittura privata autenticata o da dichiarazione resa da entrambi gli avvocati al giudice adito o all’autorità procedente, «anteriormente – dispone il comma 2 dell’articolo 8 – alla costituzione della parte rappresentata ovvero al primo atto di difesa dell’assistito».
Per il Tribunale, la dichiarazione dei due legali «deve soddisfare l’indispensabile requisito della riferibilità dell’atto d’intesa a uno specifico processo», e quindi deve «essere indirizzata all’autorità giudiziaria davanti alla quale si svolge il giudizio». Peraltro – prosegue l’ordinanza -, anche il Consiglio nazionale forense ha ritenuto che l’obbligo di esercitare la professione d’intesa con un avvocato italiano implichi che «non vi possa essere un affiancamento in via generale a un avvocato abilitato», giacché tale integrazione di poteri va «fornita per ogni singola procedura». In altri termini, «non è ammesso – aggiunge il Tribunale, citando la sentenza 72/2015 dello stesso Consiglio – un atto d’intesa preventiva, a carattere generale e indifferenziato»; altrimenti, l’avvocato stabilito (e affiancato) avrebbe, di fatto, «una piena abilitazione» ed eviterebbe il «controllo dell’avvocato affiancante».
Nel caso in esame, la dichiarazione esibita dai difensori del ricorrente, depositata all’Ordine degli avvocati, era «di contenuto generico» e non faceva riferimento alla controversia iniziata davanti al Tribunale di Torino. Così il giudice ha assegnato al ricorrente – in base all’articolo 182, comma 2, del Codice di procedura civile – il termine perentorio di venti giorni «per la regolarizzazione della procura alle liti in conformità all’articolo 8 del Dlgs n. 96 del 2001». Antonino Porracciolo

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