RIFORME GIUSTIZIA: Meglio tempi brevi ma con paletti e indennizzi (Il Corriere della Sera)

IL CORRIERE DELLA SERA

Meglio tempi brevi ma con paletti e indennizzi
Nuova legge. L`ipotesi d`allungare i termini dell`istituto giuridico,
in dosi che dipenderanno dalle alchimie partitiche, sembra la stessa fallimentare ricetta degli ultimi anni

Ma vale davvero la pena di impiccarsi a una battaglia campale per «questa» riforma della prescrizione? Se dovesse diventare legge il testo votato dalla Camera nel marzo 2015, i processi per corruzione potrebbero ad esempio durare 18 anni, in alcuni casi – calcolano i promotori – quasi 22.
Alé, si fa festa? A occhio, non tanto. Specie se ci si mette al posto di parti lese odi imputati.
Eppure in tre lustri già tutto lo scibile in materia è stato arato dai progetti di riforma Kessler 2001, Grevi 2002, Giunta e Micheletti 2003, Fassone 2004, Commissione Nordio 2005, Giostra 2006, Commissione Pisapia 2006, Commissione Riccio 2006, ddl Mastella 2007, Silvani 2009, Ubertis 2010, ddl processo breve 2010, Mazza 2011, Viganò 2012, Fiorella 2013, e da ultimo il ddl governativo 2014 approvato in prima lettura alla Camera nel 2015. Così come acquisite sono le coordinate statistiche.
In 10 anni 1 milione e 55o mila prescrizioni, più del 70% nelle indagini preliminari perché è qui che si estingue la marea di reati contravvenzionali
che (diversamente dai delitti) hanno solo 4 anni di tetto-base. Per il resto nei dieci anni sono andati in fumo 209.500 processi in Tribunale, quasi 132.000 in Appello, 3.30o in Cassazione e 9.500 davanti ai Giudici di pace: ma se si osserva la tendenza, è per lo più il secondo grado a restare con il «cerino acceso».
Il numero di prescrizioni è sceso dal record di 213.500 nel 2004 alle 119.50o del 2011, poi però è ripreso a risalire sino alle 132.000 dell`anno scorso.
Numeri da leggere peraltro nel malsano federalismo giudiziario per cui quattro distretti di Corte d`Appello (22% Napoli, 12% Roma, e 7,5% l`uno Torino e Venezia) da soli fanno quasi metà di tutte le prescrizioni d`Italia, ma 70 Tribunali su 135 hanno tassi di prescrizione inferiori al 3%. Se infine è statistica che alte prescrizioni non necessariamente corrispondono a carenze di cancellieri, le due facce della medaglia di Torino (sotto la guida dello
stesso magistrato ex dirigente poi peraltro ingaggiato come super organizzatore proprio dal ministero) mostrano però che riforme a costo zero non esistono in una coperta corta ovunque la si tiri: al punto che far diventare un «gioiellino» a livello europeo la giustizia civile a Torino è stato pagato a
caro prezzo nel penale con il record negativo nazionale a quota 22 mila processi pendenti nel distretto d`Appello.
Ora la ricetta all`orizzonte, in dosi che dipenderanno dalle alchimie partitiche, sembra però la stessa fallimentare degli ultimi tempi: ancora aumenti delle pene massime dei reati come leva per allungare la prescrizione (così sfasciando la coerenza del sistema), raddoppio della prescrizione
su altri singoli reati, 2 anni in più dopo la sentenza di primo grado e 1 dopo il secondo grado. Il risultato, appunto prescrizioni da 15-20 anni, servirà magari a fare titoli e voce grossa di politici-magistrati-avvocati, ma è difficile accontenti vittime desiderose di sentenze in tempi accettabili, e imputati immeritevoli di restare schiacciati a vita dalla pendenza di un processo.
Quattro differenti ingredienti, legati tra loro, potrebbero invece suggerire almeno la riflessione su un`altra possibile ricetta.
Intanto, far partire il calcolo della prescrizione non da quando viene commesso un reato, come oggi, ma da quando qualcuno viene indagato
(in Francia sta avvenendo in via giurisprudenziale a colpi di decisioni dell`Assemblea generale della Cassazione, meglio invece lo fissi la legge).
Fissare, però, termini massimi non troppo lunghi, in media attorno ai 6-7 anni.
E prevedere che smettano per sempre di decorrere dopo la sentenza di primo grado. Ma in compenso, per scongiurare che una persona resti in indefinita attesa di un verdetto d`Appello o Cassazione per colpa di eventuali lentezze
patologiche della macchina giudiziaria, prevedere nel contempo due rimedi compensativi (soprattutto i professori Mazza e Viganò vi hanno riflettuto
sulla scorta di quanto avviene in Germania e Spagna), da commisurare caso per caso come indica la Corte europea dei diritti dell`uomo di Strasburgo.
E cioè, nel caso di sentenza finale di condanna, uno «sconto» di pena proporzionale alla quota di accertata irragionevole durata del processo;e nel caso di assoluzione finale, un «indennizzo» all`imputato a ristoro della pena in sé già subita con la durata irragionevole del processo (sul modello del rimedio compensativo riconosciuto ad esempio ai detenuti rinchiusi in passato in meno di 3 mq).
Una simile disciplina meglio se accompagnata da una rivisitazione delle notifiche (la prima all`imputato per essere certi della consapevolezza
del processo, ma tutte le successive al suo avvocato), e dalla cancellazione dell`attuale comoda certezza di non poter incorrere in un verdetto più
sfavorevole una volta che si sia proposto appello – avrebbe anche un effetto incentivante: quello di distinguere i «tempi vivi» del processo (termini di
legge per i vari adempimenti, istruttoria, rogatorie, perizie complicate) dai «tempi morti» (fascicoli dormienti in Procura, Appelli non fissati, udienze
rinviate per errori di notifica, sforamento del deposito delle sentenze, tempi biblici di trasmissione del fascicolo da un grado all`altro). E potrebbe far
tornare l`istituto della prescrizione, per usare un`antica metafora del professor Pulitanò, alla sua funzione di «estintore»: cioè di bombola di protezione da alcuni rischi di «incendio» processuale, ma che il buon funzionamento del sistema dovrebbe lasciare il più inattiva possibile. Luigi Ferrarella

Foto del profilo di Andrea Gentile

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