PROFESSIONI: Digitalizzazione, sfida e chance per gli studi dei professionisti (Italia Oggi Sette)

ITALIA OGGI SETTE

Viaggio di ItaliaOggi Sette fra cloud, Pec, fattura elettronica, Xbrl e social media
Digitalizzazione, sfida e chance per gli studi dei professionisti

Lun.20 – Fattura elettronica, Pec, cloud, firma digitale, dematerializzazione di documenti e processi, Xml, Xbrl, Pdf/a, processo civile e tributario telematici, social media e virtualizzazione sono solo alcuni dei termini, potremmo infatti continuare a lungo, entrati nel gergo comune delle professioni economico-giuridiche italiane. La progressiva digitalizzazione degli studi di commercialisti, consulenti del lavoro e avvocati sta cambiando e, sempre più cambierà, modelli organizzativi e modalità di lavoro consolidati da anni. Le nuove tecnologie stanno già impattando anche sul fatturato: alcune attività sono destinate, infatti, a un significativo ridimensionamento o, probabilmente, alla scomparsa (per esempio, quelle fondate sull’elaborazione sistematica e massiva di dati); stanno nascendo, per converso, nuove aree di business e specializzazioni su cui i professionisti più innovativi stanno già investendo tempo e risorse.
Il «male» necessario. L’ingresso del digitale negli studi professionali, prescindendo dalle normali esigenze legate ai software di contabilità/paghe o produttività e dal fenomeno di internet, si deve ai rapporti con la pubblica amministrazione. La dematerializzazione della macchina burocratica, purtroppo spesso caotica e senza reali semplificazioni, ha imposto agli studi che vi s’interfacciano (per conto di cittadini e imprese) importanti investimenti in termini di risorse e competenze. Prendiamo per esempio, per dare solo un’idea della rapidità del cambio di paradigma, il lavoro del commercialista: nel 1999, anno di sostanziale avvio del «fisco telematico», i dottori, ragionieri e loro studi associati o società inviarono poco più di 7.000.000 di documenti fiscali, numero che è decuplicato superando, nel 2015, i 77.500.000. Altro caso emblematico è quello del Registro delle imprese: avvia la sua digitalizzazione nel 1995 e oggi riceve, con firma digitale, circa 1.000.000 di bilanci d’esercizio in formato Xbrl e 3 milioni di pratiche Comunica l’anno.
Il digitale però, almeno nella «pancia» della professione, viene spesso percepito quale sorta di male necessario: un onere gravoso, in termini di tempo e risorse destinate all’Ict, che non viene compensato da vantaggi chiari e immediati (o, quantomeno, paragonabili agli sforzi compiuti) e non può nemmeno essere agevolmente trasferito sulla clientela. Si ha spesso l’impressione, in altre parole, di assumere il ruolo di fornitore non remunerato della stessa pubblica amministrazione con la beffa, se non bastasse, sia di dover spiegare il tutto a cittadini e imprese che di subirne pure, non raramente, lamentele e proteste. I professionisti, visto che è impensabile il solo rallentamento del fenomeno, sono di fronte a un bivio: subire passivamente l’innovazione tecnologica oppure cavalcarla per cambiare sia le proprie modalità di lavoro che, e soprattutto, creare nuovo business attraverso cui far crescere i propri ricavi.
Un nuovo modello organizzativo. Gli studi professionali abbondano di hardware e software: il Dipartimento di ingegneria gestionale del Politecnico di Milano ha stimato in oltre il miliardo di euro la loro spesa Ict nel 2015 (una media di 9 mila euro per studio), con un incremento del 50% rispetto all’anno precedente e prospettive di ulteriore crescita per quello futuro. La spesa però non garantisce, di per sé, risultati tangibili senza un significativo cambiamento culturale. Le nuove tecnologie consentono sì la condivisione integrata, trasversale, immediata e diffusa di dati (elaborabili) e servizi, ma tale punto di forza non produce risultati ottimali senza un ripensamento delle modalità organizzative (tanto interne quanto nei rapporti con la clientela). Ha poco senso, per esempio, avere software capaci di distribuire, automaticamente e in sicurezza, le buste paghe mensilmente elaborate via web o mail senza formare e abituare i clienti a tale modalità di fruizione.
La digitalizzazione, per esempio mediante il cloud, facilita inoltre il lavoro di gruppo massimizzando le sinergie e le diverse competenze multidisciplinari. Tali strumenti possono però dare il massimo solo se si crea una rete di professionisti e aziende in grado di collaborare: l’abbandono, quindi, della logica del singolo professionista generalista a favore del team multidisciplinare e, in prospettiva, anche internazionale. Proprio il cloud e le nuove modalità di comunicazione consentono di «virtualizzare» lo studio professionale, peraltro con abbattimenti e condivisioni dei costi potenzialmente non trascurabili. Un efficace ed efficiente utilizzo delle nuove tecnologie richiede dunque la riorganizzazione, il ripensamento dei tempi e dei processi lavorativi.
Altra opportunità è quella del miglioramento della comunicazione e del marketing, ovviamente nei limiti della deontologia professionale. Il tradizionale sito web informativo dovrebbe allora trasformarsi in qualcosa di più moderno e interattivo, così da divenire un canale importante sia di riconoscimento reputazionale che di dialogo con i clienti: accattivante e multidevice, caratterizzato da contenuti e video di qualità e, magari, con pubblicazioni e circolari di aggiornamento da scaricare. Gli studi più innovativi, magari grazie all’utilizzo delle competenze dei collaboratori più giovani o dei tirocinanti, stanno già iniziando a sperimentare pure le enormi potenzialità dei social media, sia quelli generalisti (per esempio, Facebook, Twitter e YouTube) che più vocati al mondo lavorativo (per esempio, LinkedIn).
Nuove opportunità di business. Le nuove tecnologie determineranno il ridimensionamento o la scomparsa di alcune delle attività professionali più tradizionali e a basso valore aggiunto, soprattutto se caratterizzate da una elaborazione sistematica e massiva di dati. Uno degli esempi più delicati è quello della tenuta della contabilità: la codifica elettronica in formati elaborabili e standardizzati dei principali flussi contabili, in primis la fatturazione (ma anche gli estratti conto bancari), renderà obsoleto il caricamento «manuale» delle movimentazioni economico-finanziarie. L’attività di data-entry, sì a basso valore aggiunto ma spesso fondamentale per molti commercialisti, è destinata a scemare. Una prima reazione tecnologica, soprattutto se orientata verso le imprese di piccole e medie dimensioni, potrebbe essere quella della migrazione verso l’erogazione di servizi contabili in cloud: consentire ossia, attraverso specifiche licenze, l’accesso via web al software contabile di studio da parte del singolo cliente (a cui verrebbe quindi demandato l’inserimento dei dati).
I professionisti dovrebbero però puntare molto più in alto: divenire gli Hub digitali sia delle piccole e medie imprese che dei tanti lavoratori autonomi incapaci, per carenze culturali o strutturali, di affrontare con la necessaria rapidità il nuovo paradigma. Offrire consulenza e assistenza remunerata non solo su attività base, ma ormai indispensabili anche per il piccolo artigiano, come la fatturazione elettronica e la pec, tanto per fare due esempi immediati, ma su come riorganizzare digitalmente i prodotti, il marketing, i processi e il business aziendale. Altro punto importante è quello della consulenza giuridica e tributaria sulle problematiche digitali, anche in tema di conservazione sostitutiva e dematerializzazione della documentazione. Ci si potrebbe orientare, infine, verso l’audit informatico-aziendale, vista anche l’assoluta importanza della prevenzione delle truffe e, in senso generale, della sicurezza informatica. Andrea Fradeani

Foto del profilo di Andrea Gentile

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