PARLAMENTO: Il reato di tortura può attendere: la legge si ferma (Il Fatto Quotidiano)

IL FATTO QUOTIDIANO

Il reato di tortura può attendere: la legge si ferma
Dopo il diktat di Alfano, Grasso sospende l`esame in Senato: i partiti che sostengono l`esecutivo vanno in ordine sparso

L’introduzione del reato di tortura nel codice penale? Può attendere ancora. Del resto aspetta dal lontano 1988, quando il Parlamento a guida Pentapartito
recepì la convenzione delle Nazioni Unite in materia. Ora per il Pd è più importante la tenuta della maggioranza in aula, sempre più scricchiolante
e legata agli umori di Denis Verdini e del suo gruppo vista la probabile
fuoriuscita di Renato Schifani da Area Popolare. Così, dopo il diktat
del ministro dell`Interno Angelino Alfano (“il testo va rivisto alla Camera, non si può lanciare un messaggio fuorviante alle forze dell`ordine”), ieri il Senato ha sospeso la discussione in aula della legge.
L`ENNESIMO stop all`esame del provvedimento, quando dopo tre passaggi tra Camera e Senato mancavano solo 30 votazioni sugli emendamenti, somiglia tanto ad un tentativo di affossarlo per sempre. Difficile la mediazione pure sulla prescrizione: ieri il Guardasigilli ha fatto l`ennesima
proposta di mediazione per venire incontro ad Alfano e Verdini (stop di 18
mesi sia dopo il primo grado che dopo l`appello). Un piccolo tentativo di compromesso al ribasso, che andrà verificato nei voti in commissione (anche sul caso specifico dei reati di corruzione).
Tornando al reato di tortura- e proprio mentre cade il 15esimo anniversario
delle violenze del G8 di Genova – il Parlamento inciampa ancora, più
preoccupato di non turbare gli umori delle forze dell`ordine che di dare un
quadro normativo chiaro alla materia. E Alfano – a cui davvero non mancano
i guai – incassa la sua vittoria: “Una saggia decisione: le forze di Polizia
stanno servendo il Paese con professionalità e noi lo riconosciamo coi fatti”.
Traduzione: il governo Renzi è ormai ostaggio dei piccoli partiti, né più
né meno dei suoi predecessori.
IERI POMERIGGIO “l`incidente” a Palazzo Madama. Il presidente del Senato, Piero Grasso, convoca la capigruppo su richiesta della Lega, di Forza
Italia e di Conservatori e Riformisti che chiedono il rinvio in commissione
della legge. Un`ora dopo arriva la decisione, tra le ire di Sinistra Italiana e M5S, e l`assenso del Pd. Le parole del capogruppo dem, Luigi Zanda, suonano come un de profundis: “Faremo di tutto perché il testo
torni in aula e venga approvato prima della pausa estiva, ma dobbiamo valutare la maggioranza che sostiene il ddl, vogliamo sia più larga possibile”.
Come dire, senza Ncd la maggioranza di governo non ha i numeri per approvarlo. Ma qual è il nodo del contendere?
La norma da introdurre nel codice penale riconosce il reato di tortura nei
casi di “violenza o minacce gravi a una persona in forti sofferenze fisiche o
mentali” o “trattamenti crudeli, disumani o degradanti” per “ottenere informazioni o confessioni”. Il centro destra preme per tornare alla formula
“violenze reiterate”, che in sede processuale può prestarsi aduna maggiore
interpretazione: un modo per rendere più difficile la punizione degli “abusi
in divisa”, sanzionati con pene maggiori, fino a 15 anni di carcere.
La voce fuori dal coro tra i banchi Pd è quella del senatore Luigi Manconi:
“Un Senato infingardo affossa il reato di tortura, grazie ad un ineffabile ministro dell`Interno che tenta di riscattare i propri fallimenti di governo con
blandizie verso i segmenti più antidemocratici delle forze dell`ordine”. Esultano Lega e Forza Italia. Con buona pace di tutti i cittadini che ancora attendono giustizia per i casi di presunte violenze da parte delle forze dell`ordine avvenute negli ultimi anni: da Bolzaneto alla Diaz, passando
per Stefano Cucchi, Federico Aldrovandi e Giuseppe Uva. ANDREA MANAGÒ

Foto del profilo di Andrea Gentile

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