L’INTERVISTA/1: Barbuto: “L’organizzazione del lavoro conta quanto le risorse” (La Stampa)

LA STAMPA

Barbuto: “L’organizzazione del lavoro conta quanto le risorse”
Barbuto: “Ma in ogni caso la giustizia
avrebbe bisogno del doppio dei soldi”

Lun.3 – TORINO. Quando ero presidente di sezione, al Tribunale civile di
Torino, fui incaricato di spiegare al ministero come mai quindici processi erano arrivati alla Corte di Giustizia europea che aveva condannato
l`Italia. Andai a rintracciare i fascicoli e mi vergognai. Da quel momento cominciammo a censire le cause vecchie. Le chiamavamo «cause Strasburgo».
Pochi mesi dopo, nel 2001, Mario Barbuto, diventato presidente del Tribunale, ha lanciato quel progetto Strasburgo con cui Torino in
pochi anni ha abbattuto gli arretrati fino a diventare un esempio di efficienza. Un lavoro che gli è valso premi, riconoscimenti e una chiamata al capezzale della Giustizia: nel 2014 è stato nominato dal governo Renzi a capo del dipartimento dell`organizzazione giudiziaria, incarico lasciato due mesi fa quando è scattata la tagliola del pensionamento.
Che situazione ha trovato? «Nell`estate del 2014 abbiamo fatto una ricognizione, scoprendo che lo Stato doveva 400 milioni di risarcimenti. A
gennaio 2015 ho chiesto un aggiornamento: il debito era salito a 451 milioni. A quel punto ho lanciato l`allarme: la situazione era tragica, bisognava
dirlo e rimediare».
Come? «Tentando di mutuare le migliori best practice. In un anno
le cause antecedenti al 2000 sono passate da 86 mila a 44 mila; quelle d`inizio millennio – dal 2000 al 2005 – da 127 mila a 73 mila. Abbiamo stabilito che andassero definite con precedenza anche a costo di sacrificare pacchetti di cause recenti».
I processi a rischio sono più di un milione. «Ci vorranno anni per vedere effetti significativi. Quando sono arrivato ho chiesto una fotografia
esatta di ciascun tribunale. Con un software abbiamo effettuato un censimento attraverso 24 parametri. Uno di questi riguardava le cause a rischio Pinto. Abbiamo visto che in alcuni tribunali sono il 4%, in altri il 60. Allora abbiamo incrociato i dati».
E che cosa avete scoperto? «Che ci sono tribunali con gravi carenze di organico ma con pendenze molto basse, uffici a ranghi completi con arretrati
enormi. E che non sempre i distretti ad alta litigiosità hanno molte cause pendenti. Il punto, quindi, non sono soltanto le risorse: le migliori performance sono il frutto di una buona organizzazione del lavoro».
Perché lo Stato, se condannato, non paga? «Non ci sono
soldi, per la legge Pinto come per molte altre cose. È così che in Italia si è formato e cresce il debito pubblico. La Giustizia avrebbe bisogno del doppio
delle risorse di cui dispone. In ogni caso lo scorso anno abbiamo firmato un accordo con la Banca d`Italia (appena esteso, ndr): il pagamento dei nuovi
decreti di condanna sarà effettuato in sede centrale, consentendo alle Corti d`Appello di dedicarsi allo smaltimento del pregresso».
I ricorsi al Tar, però aumentano. «È drammatico, ma i fondi si
esauriscono subito. E molti cittadini si rivolgono ai Tar».
Davvero si può pensare di risolvere il problema stringendo le
maglie della legge Pinto fino a renderla quasi inaccessibile?
«È la logica dell`emergenza, che io non condivido. Mi rendo conto che va contro gli interessi economici dello Stato, ma non si dovrebbe impedire ai
cittadini di vedere riconosciuti i propri diritti». A. ROS.

Foto del profilo di Andrea Gentile

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