L’INTERVENTO/2: Cassazione fuori dall’impasse con l’ammissibilità dei ricorsi di Tommaso Basile – Sostituto procuratore generale della Cassazione (Il Sole 24 Ore)

IL SOLE 24 ORE

Cassazione fuori dall’impasse con l’ammissibilità dei ricorsi

di Tommaso Basile – Sostituto procuratore generale della Cassazione

Il disegno di legge che delega il Governo a riformare il processo civile è stato di recente approvato dalla Camera ed è ora all’esame del Senato. Tra i molti punti, ha un rilievo particolare la modifica del rito in Cassazione: sia per la centralità della Corte cui è affidato dall’ordinamento il compito di assicurare l’uniforme applicazione del diritto nazionale, sia per la profondità della riforma che tra l’altro prevede, di fatto, l’abolizione della pubblica udienza. In realtà, questo esito appariva inevitabile: la discussione pubblica dei ricorsi, a garanzia di trasparenza, era prevista per un tempo in cui davanti al Collegio venivano portati pochi processi: vi era la possibilità per ogni componente di conoscere bene tutte le cause (anche non sue), e vi era spazio per un’approfondita discussione degli avvocati. Per come vanno le cose oggi, nelle udienze pubbliche vengono trattate anche trentacinque o quaranta cause per udienza. Le discussioni sono mera apparenza, il rito diventa un ritualismo e la decisione è pressoché monocratica. Il Parlamento sembra aver preso atto di questa realtà e ha deciso che quasi tutti i processi si svolgano con rito camerale: interventi scritti delle parti, porte chiuse e possibile aumento del numero delle decisioni.
Così la Corte viene messa in grado di incrementare ulteriormente la propria produttività. Di fronte all’inondazione dei ricorsi, invece di tappare la falla si aumenta il lavoro di chi usa i secchi per impedire l’allagamento.
Chiunque ormai comprende che il problema è a monte: una norma costituzionale (articolo 111 comma 7) prevede che contro tutte le sentenze sia consentito il ricorso in Cassazione per violazione di legge. È una norma di grande garanzia che tuttavia ha nel tempo minato la funzione stessa della Corte che sarebbe quella di individuare poche, importanti questioni controverse e di dare ai giudici dei Tribunali e delle Corti di appello un indirizzo interpretativo omogeneo.
Questa sarebbe la famosa nomofilachia. Parola che viene ormai ripetuta come un mantra da chiunque a qualunque titolo voglia dire la sua sul tema; parola abusata e svuotata di senso proprio dalla impossibilità di garantire alcunché in termini di interpretazione omogenea del diritto quando si sfornano trentamila sentenze all’anno; parola che, viene il sospetto, sia usata dai pochi che si accorgono dell’irrazionalità del nostro sistema (ma non vogliono porvi rimedio) come uno schermo e una cortina fumogena. Dunque il Governo si appresta a rendere il giudizio in Cassazione più efficiente (nel senso però di più produttiva): senza i lacciuoli del rito pubblico si potranno fare ancora più sentenze.
Produttività è il termine che definisce il progetto: mentre nei gradi inferiori si punta a disincentivare in tutti i modi il ricorso al contenzioso, in Cassazione si pensa a come velocizzare lo smaltimento. La contraddizione si palesa evidente: da una parte, nella relazione al disegno di legge si afferma che il numero dei giudici in cassazione «è insopportabilmente pletorico»; dall’altra non si fa nulla per diminuire il numero “mostruoso” delle cause. Eppure a fronte di un tale contenzioso tutti quei giudici sono inevitabili e inevitabili le discrasie nell’interpretazione della legge: l’effetto perverso è che tali discrasie generano incertezza e dunque nuove cause davanti ai giudici dei gradi inferiori: un cane che si morde la coda. La soluzione, anche a legislazione costituzionale invariata, potrebbe essere trovata: per esempio attraverso la previsione che la Corte, invece di dichiarare preventivamente la inammissibilità del ricorso nei casi previsti dalla legge, sia tenuta a dichiararne la ammissibilità.
Al di là dei tecnicismi, quel che non possiamo più nasconderci è che i forti interessi – i quali impediscono alla Cassazione di tornare a essere, come in tutti i Paesi una vera corte di legittimità – ormai creano un danno rilevante alla giustizia e di conseguenza all’economia della Nazione.

Foto del profilo di Andrea Gentile

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