L’INTERVENTO/1: La giustizia e la gatta frettolosa di Alessandro Barbano (Il Mattino)

IL MATTINO

La giustizia e la gatta frettolosa

di Alessandro Barbano

La gatta frettolosa, dice il proverbio, fa i gattini ciechi. Ma li fa anche sordi
se la fretta giunge, sospetta, dopo una lunga idiosincrasia alle gravidanze. Dovrebbe saperlo il guardasigilli, Andrea Orlando, che, dopo due anni di traccheggiamento, alla vigilia del referendum spinge per portare in aula una riforma del processo penale che si risolve nell`aumento dei termini della prescrizione e in un filtro alla pubblicabilità delle intercettazioni, il cui uso e il cui abuso risultano estesi oltre ogni decenza. Tanta fretta trova la resistenza del premier, preoccupato di esporre un testo, già piegato al giustizialismo, al tiro mancino di maggioranze trasversali di ispirazione giacobina, e dubbioso sull`idea di fare uso della fiducia in una fase in cui non ha interesse ad accentuare e rendere visibile la direttività del governo.
Certo, Renzi sa bene che la giustizia continua a rappresentare l`emergenza
istituzionale che indusse l`ex capo dello Stato, Giorgio Napolitano, a subordinare il suo bis temporaneo all`impegno dei partiti tutti per una riforma sollecita e strutturale. E sa anche, il premier, che poche settimane dopo l`insediamento del suo governo il guardasigilli elaborò una bozza di 12 punti attorno ai quali costruire e far approvare in Parlamento una nuova geografia del sistema giudiziario italiano. Una modesta ricerca d`archivio
dimostrerebbe che quegli impegni sono rimasti in gran parte disattesi.
E che, dopo due anni, i mali che quel disegno intendeva correggere restano piaghe purulente, come, per fare solo alcuni esempi, la dimensione abnorme della giustizia cautelare e del suo impatto sociale, l`abuso delle intercettazioni, i tempi dei processi, soprattutto in appello, la politicizzazione e la corporativizzazione senza limiti né pudore del Csm. Certo, una riforma strutturale era un impegno arduo. In cui era assai più facile bruciarsi piuttosto che vincere la sfida.
Non a caso i retroscena, mai smentiti, sulla formazione del governo Renzi
raccontano che Orlando avrebbe preferito un altro dicastero. Convinzione che
deve essersi rafforzata di fronte all`ostilità scatenata dai suoi primi atti di governo: la riduzione delle ferie dei magistrati e la loro responsabilità civile. La prima disinnescata da una prassi interpretativa che è riuscita a riconfermare lo «statu quo» con abilità gattopardesca. La seconda tradotta in una legge di cui si fa fatica, a un anno dalla sua approvazione, a vedere effetti tangibili. La responsabilità civile sembra essere scivolata come l`olio sull`autonomia di un corpo che continua, talvolta, a sconfinare nell`arbitrio.
Eppure, tanto era stata osteggiata dalla magistratura militante, paventando
effetti disastrosi per l`esito della giustizia che, per fortuna, nessuno ha dovuto
constatare.
Per il resto l`azione del guardasigilli si è concentrata su alcuni obiettivi
non divisivi, la cui utilità non è in discussione: la telematizzazione del processo civile, il miglioramento della macchina organizzativa, una strategia deflattiva del contenzioso, lo svuotamento delle carceri, che peraltro registra negli ultimi mesi una nuova, preoccupante inversione di tendenza. Ma la strategia del pragmatismo minimalista adottata da Orlando è parso uno slalom tra i veri nodi della giustizia, nessuno dei quali è più venuto, come
si suol dire, al pettine. È come se l`assaggio delle prime ostilità corporative,
in coincidenza temporale con le inchieste che hanno allungato la loro ombra minacciosa sul governo e sul Pd, avesse indotto il guardasigilli a più miti consigli.
Nell`ultimo anno la sua prudenza ha assunto i tratti dell`inerzia, che certifica come in politica qualunque priorità possa essere sacrificata in nome di interessi divenuti più urgenti. L`urgenza del referendum sulla riforma costituzionale e il rischio di una magistratura requirente schierata nelle piazze per il “no” sono certamente un buon motivo per transigere una tregua, anche a costo di pagare un prezzo all`azione di governo. Tuttavia è indubbio che in questa prudenza Orlando ci ha messo del suo, non sfruttando come avrebbe potuto e dovuto i tempi e gli spazi di agibilità e ignorando gli appelli alla risolutezza che in una prima fase gli erano giunti dallo stesso premier. Il fatto che egli non sia, come del resto molti dei suoi predecessori, un giurista, ma piuttosto un politico di professione, non ha per questo reso più debole la sua resistenza alle spallate corporative. Nella stessa impasse sono incappati negli ultimi vent`anni raffinati giuristi, transitati per il soglio di via Arenula.
Ma la loro avventura non era accompagnata, diversamente da Orlando,
da grandi aspettative riformatrici. Ora invece Orlando ha fretta. Fretta di condurre in porto una riforma che convalidi con un risultato politico un`azione di governo altrimenti fallimentare. Poco conta che la direzione imboccata sia opposta a quella da cui l`esigenza della riforma era partita. Poco conta che la legge in aula rischi di offrire il destro ad accordi trasversali tra la minoranza Pd e i Cinquestelle, capaci di ribaltare con un emendamento
dell`ultima ora le residue garanzie previste nel testo della legge. Né rassicura
ascoltare il ministro quando valuta, in una recente intervista, come un accordo al ribasso quello che si propone di allungare fino a 15/18 anni la prescrizione per il reato di corruzione, rispetto alla soluzione ideale da lui auspicata, cioè un`interruzione «sine die» della stessa dopo la sentenza di primo grado. Esattamente come vorrebbe il relatore della legge in discussione in Parlamento, Felice Casson. Ma Casson è un pasdaran, Orlando è il riferimento di un sistema giudiziario in cui il tempo dell`appello, e più in generale del giudicato, è la metafora di una feroce eternità, di cui solo le
vittime della giustizia sembrano avvertire, in tragica solitudine, il peso afflittivo.
Fa ancora più stupore registrare l`indifferenza del guardasigilli di
fronte alla piega che ha assunto il dibattito interno al Consiglio superiore
della magistratura sulla riforma dello stesso. L`attesa delle proposte di autoriforma, chieste dal ministro all`organo di autogoverno, è diventata una resa. Poiché nessuna risposta men che credibile è giunta sui nodi che hanno trasformato il Csm in un parlamentino corporativo e velenoso. In nome di un`antica congiuntura pattizia e consociativa, specchio di una democrazia che
scopre un lato di estrema e irrisolta fragilità, si é archiviato lo spirito riformatore su uno dei fronti nei quali il Paese registra il maggior ritardo.
Che in questo clima si tenti ora un`accelerazione, dispiace sospettare e doverlo dire, non è affatto una buona notizia.

Foto del profilo di Andrea Gentile

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