GOVERNO: Processo penale, ritorna in pista il Ddl Ora è possibile il via libera a febbraio (Il Sole 24 Ore)

IL SOLE 24 ORE

Giustizia. La riforma era stata accantonata da Renzi in attesa del referendum
Processo penale, ritorna in pista il Ddl Ora è possibile il via libera a febbraio

ROMA. La presenza di Andrea Orlando come ministro della Giustizia anche nel governo Gentiloni lo lasciava presagire, ma le parole del neopresidente del Consiglio sui punti-chiave dell’agenda del nuovo Esecutivo sono state la conferma ufficiale che la riforma del processo penale verrà tirata fuori dalla palude in cui era finita prima del referendum, e portata al traguardo. È infatti tra quelle «in corso» citate da Gentiloni, alle quali il governo intende «ridare slancio», con un «impulso ulteriore».
Musica per le orecchie di Orlando, che peraltro sarebbe stato in grande imbarazzo a rimanere in via Arenula spogliato di una delle riforme sulla giustizia che, nelle intenzioni del governo Renzi, era tra le più «qualificanti», e che il guardasigilli ha difeso con le unghie e con i denti contro il tentativo, di Renzi e della sua stessa maggioranza, di archiviarla, mettendola su un binario morto in attesa dell’esito referendario. Troppo divisiva, sia rispetto all’opposizione sia nella maggioranza e nel Pd, per essere sottoposta al voto, anche di fiducia, alla vigilia di una consultazione popolare dall’esito incerto, poi rivelatosi addirittura catastrofico per l’ex premier. Troppo impopolare, poi, anche fra magistrati e avvocati, che però avevano deciso di mandar giù quel boccone amaro, frutto di una serie di compromessi, nella speranza che alcune norme della legge non venissero mai attuate. Il Ddl sul processo penale è infatti composto di 40 articoli sulle più svariate materie (prescrizione, intercettazioni, carcere, durata delle indagini, videoconferenze, aumento di pene per furti, scippi, voto di scambio politico, impugnazioni), molti dei quali contengono norme di delega da attuare in un anno.
L’esame del provvedimento riprenderà al Senato a gennaio e, una volta approvato, tornerà alla Camera per la ratifica. Se non ci saranno intoppi (ci sono circa 200 voti segreti e la fiducia, a questo punto, sembra difficile), potrebbe diventare legge a febbraio. In tal caso, se il governo Gentiloni durerà per tutta la legislatura, avrà il tempo per emanare i decreti di attuazione su intercettazioni, nuovo ordinamento penitenziario, impugnazioni, videoconferenze. Se, invece, si dovesse andare a elezioni anticipate a giugno, l’attuazione sarà lasciata in eredità al prossimo governo, che dovrà provvedere nel tempo rimanente e sempre che vi sia continuità politica con i due precedenti.
Il cammino è tutt’altro che in discesa perché, nel frattempo, l’Unione delle camere penali si è rimangiata il via libera dato a Orlando (sia pure controvoglia), diffidando anzi dall’approvare la riforma, salvo che per la parte sul carcere. È invece finora rimasta silenziosa l’Anm, che con il suo presidente Piercamillo Davigo aveva prima definito la riforma «inutile e dannosa» ma poi aveva dato semaforo verde, confidando in alcuni ritocchi promessi da Renzi e da Orlando, come l’allungamento (da tre ad almeno sei mesi) del tempo entro cui il Pm, chiusa l’indagine, può chiedere il rinvio a giudizio. A questa condizione, e con l’ulteriore promessa di Renzi di assumere altri cancellieri nei Tribunali (ormai alla paralisi) nonché di estendere la proroga dell’età pensionabile a una cerchia di magistrati più ampia di quelli beneficiati dal governo, l’Anm ha sospeso la proclamazione dello sciopero. Ora, l’unica possibilità del governo di mantenere quelle promesse è infilare le due misure nel decreto milleproroghe. Sul quale sono puntati gli occhi delle toghe. Donatella Stasio

Foto del profilo di Andrea Gentile

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