FALLIMENTI: “Anche se l`azienda finisce sul lastrico l`imprenditore non è un fallito” (La Stampa)

LA STAMPA
Il caso

“Anche se l`azienda finisce sul lastrico
l`imprenditore non è un fallito”
Sentenza choc di un giudice di Vicenza: è un termine dispregiativo,
bisogna cambiarlo. Ma la Consulta replica: tocca al Parlamento

VICENZA. Come fai a chiamare fallito un uomo massacrato dalla crisi? Fermo Santarosso, da Pordenone, ha preferito uccidersi piuttosto che licenziare. Maurizio Bertin, Piove di Sacco, Padova, aveva una vecchia azienda
che faceva ruote per bici, e alle 9 e 30 ha chiamato tutti i suoi operai: «Non ho più commesse. Non ce la faccio. Perdonatemi». Alle 13 e 30 si è tolto la vita legandosi un cavo elettrico al collo. Come Carmine Mancazzo, da Bitonto,
che si è appeso a una trave: «Ho sempre aiutato tutti. Ma quando ne ho avuto bisogno nessuno mi ha aiutato, e sono fallito». Ma perché dovremmo
chiamarli così, se non hanno ingannato nessuno? La cosa strana è che come capita quasi sempre in Italia, è toccato alla magistratura porsi il problema,
perché questo è un Paese così, che ha delegato anche la sua coscienza, persino il suo vocabolario, alle carte polverose di un tribunale. Un giudice di Vicenza, Marcello Colasanto, ha vergato nella sua sentenza che «l`attribuzione di un termine che è spregiativo secondo il senso comune» è in palese contrasto
con i diritti inviolabili dell`onore e dell`uguaglianza, «visto che non è solo una espressione tecnico giuridica», ma anche e soprattutto una parola
che definisce «la persona nella sua globalità, in tutte le sue sfere e relazioni sociali». Fallito, dice Colasanto, proviene etimologicamente da fallare,
«cioé ingannare». E l`imprenditore che si trova in uno stato di insolvenza «è un insolvente». Cambiamo il vocabolario: è un atto di giustizia. La Consulta gli ha risposto che non tocca a loro. Tocca al Parlamento. Che ha i suoi tempi, i suoi cavilli e i suoi percorsi. Prima o poi arriveranno anche loro.
Se il Parlamento va piano, la crisi corre molto più veloce. Non guarda in faccia nessuno. Zhou Zhaowu, imprenditore cinese di 43 anni, vantava due milioni di crediti da aziende medio piccole ingoiate dal crollo della nostra economia. Zhou Zhaowu si è dato fuoco. Non aveva mai frodato e non aveva ingannato nessuno, ma era stato ingannato lui dagli altri, dai clienti che non potevano più pagarlo, persino dallo Stato, «che poi, nella veste dell`ordinamento giudiziario, con sentenza attribuisce la patente di fallito a colui che esso stesso, per primo, non ha pagato». E allora, si chiede il Tribunale di Vicenza, «colui la cui impresa non abbia funzionato e che viene dichiarata fallita, può sentirsi per questo ed essere considerato dagli altri un fallito?». La verità è che «l`insolvente normalmente è una brava persona, magari anche incapace di gestire un`azienda o soltanto uno che non è stato pagato dai propri clienti, ma non certo necessariamente un frodatore, o ingannatore, per obbligatoria definizione giudiziaria». Quindi, consiglia Marcello Colasanto, la soluzione sarebbe quella di non pronunciare il fallimento della persona fisica, dichiarandone soltanto l`insolvenza. Solo l`impresa verrebbe dichiarata fallita.
Uno potrebbe pensare che la sostanza non cambia. Ma non è così. Vito Di Canio gestiva il cinema Due Torri a Potenza, e ci aveva visto passare
i suoi sogni da bambino e aveva guardato ogni sera la gente che veniva a cercare le storie dentro quella sala ormai vuota, con le poltroncine di legno appoggiate sul pavimento sbilenco. Quando è finito il suo mondo si è ucciso. E` l`umiliazione che ti uccide, la solitudine. L`imprenditore Alessandro Comani non riusciva nemmeno più a pagare l`affitto per la crisi. Aveva vergogna a chiedere aiuto, perché quando ha aiutato gli altri
tutta la vita, è più difficile cercare chi ti dà una mano. Gli psicologi Marte Ottene Kai Jonas dell`Università di Amsterdam hanno comparato l`encefalogramma di alcuni pazienti sottoposti a varie emozioni, dalla
rabbia alle gelosia, dalla felicità all`umiliazione. E hanno appurato che la risposta all`umiliazione era più negativa della rabbia, ma anche più intensa della felicità. Niente ferisce più il cervello dell`umiliazione, niente è
più forte e più doloroso. Il fallimento è questo. Basterebbe cominciare
a capire che non è una colpa. Anche partendo dal vocabolario. PIERANGELO SAPEGNO

Foto del profilo di Andrea Gentile

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