CASSAZIONE: L’email fa prova del mandato (Italia Oggi Sette)

ITALIA OGGI SETTE
La Corte di cassazione ha accolto il ricorso di un avvocato contro il tribunale
L’email fa prova del mandato
Legali, non serve necessariamente la forma scritta

Lun.7 – La e-mail come prova del conferimento del mandato professionale: lo ha ricordato la Corte di cassazione nella sentenza n. 2319 del 2016, nella quale si legge che «il mandato professionale per l’espletamento di attività di consulenza e comunque di attività stragiudiziale non deve essere provato necessariamente con la forma scritta, ad substantiam ovvero ad probationem, potendo essere conferito in qualsiasi forma idonea a manifestare il consenso delle parti». Così argomentando i giudici della I sezione civile hanno accolto il ricorso di un legale, mosso avverso il decreto del Tribunale con il quale veniva rigettata la richiesta di ammissione al passivo nei confronti di una società fallita: in primo grado, più precisamente, era stato ritenuto che l’uomo avesse effettuato prestazioni professionali per società diverse da quella fallita «e comunque senza un formale mandato», ragione per la quale non poteva essere ammesso al passivo fallimentare.
In sede di accertamento il ricorrente, nei tre motivi di censura, aveva lamentato soprattutto il fatto che nel decreto era stata fatta erronea applicazione di «un principio di rigidità formale non valevole per la prova del mandato professionale conferito ad un avvocato»: tale tipo di atto – spiegano infatti all’uopo – non rientrerebbe tra quelli previsti dall’art. 1350 del codice civile che disciplina espressamente gli atti che devono farsi per iscritto.
Dello stesso avviso sono stati anche gli Ermellini i quali, riportandosi ad alcuni precedenti sul punto (tra le altre Cass. n. 8850/2004), hanno ricordato come già in precedenza, «con un principio cui dare continuità», era stato riconosciuto che il mandato professionale non necessita di particolari formalità, ben potendo essere conferito in forma verbale: chiaramente, hanno continuato, in tal caso la relativa prova dovrà «risultare, quantomeno in via presuntiva, da idonei indizi plurimi, precisi e concordanti». A ciò doveva aggiungersi anche il fatto che il curatore fallimentare, disconoscendone la data, aveva negato alla scrittura il carattere di atto anteriore al dissesto economico, contestando così la possibilità del creditore di essere ammesso allo stesso. Adelaide Caravaglios

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