CARCERI: Lo scandalo Regina Coeli quel carnaio tra le sbarre che già il Duce non voleva più (La Repubblica)

LA REPUBBLICA

Il complesso. Lo storico istituto nel cuore di Roma ha ispirato canzoni e alimentato una certa retorica. Ma resta, come disse la Boldrini, “un magazzino di carne umana”
Lo scandalo Regina Coeli quel carnaio tra le sbarre che già il Duce non voleva più

dom.29 – VIA DELLA Lungara, al numero 29. C`è sempre stata una certa simpatia, ma anche parecchia retorica del genere oleografico attorno a quel
monumento alla romanità carceraria che è Regina Coeli. Al culmine dell`automatismo stucchevole si collocano di norma alcuni versi di un celebre stornello secondo cui chi non “salisce” un certo gradino non ha titoli per considerarsi romano, tanto meno trasteverino. Ora, quel fatidico scalino non esiste proprio, essendo tre in realtà i ripiani d`accesso al carcere; in compenso il testo della canzone offre diversi spunti sulle particolari attitudini dei più assidui detenuti capitolini: da un certo vittimismo sulla scarsità del cibo, tali da ridurre il malcapitato “tutt`ossi”, fino alla pronta risolutezza con cui quest`ultimo accoglie la presenza di una campana: “Passi morì ammazzato chi la sona!”.
Ma l`interpretazione strozzatissima di Gabriella Ferri è davvero molto toccante. A lei si deve anche quella de “Le Mantellate”, dal nome delle monache che governavano il plesso contiguo all`antico convento per molti
anni adibito a penitenziario femminile. Pregevole, sempre all`insegna di malinconiche campane e amori infelici, il “canto dei carcerati” eseguito Lando
Fiorini. Mentre ad aggiornata conferma della musicalità che da sempre ispira il luogo è giusto ricordare “Via della Lungara” di Renato Zero: “E nel corridoio
ormai/ cambia il passo del piantone/la Lungara corre là/ lunga per chi sconterà”; così come si segnala, anche per esperienza diretta dell`autore “Impronte digitali” di Franco Califano: “Foto contro il muro, un numero
sul petto/ e addio, diventa tutto nero”. Infossata rispetto al Lungotevere,
la zona della prigione appare in effetti ancora più cupa di quanto lascino immaginare le finestrone da cui si può vedere solo il cielo. Quanto di peggio
è ovviamente accaduto lì dentro, ma anche lì fuori, e in questo
senso spaventoso – e per questo forse rimosso – fu il linciaggio del direttore del carcere Donati. Carretta che nel 1944, per uno scambio di persona fu
prelevato dalla folla durante un processo per le Fosse Ardeatine, quindi buttato a Tevere e infine appeso nudo a testa in giù da una inferriata al piano terra.
Commovente, nella sua caritatevole intensità, la visita di Giovanni XXIII pronto ad abbracciare un anziano detenuto che fuori programma gli si era
buttato ai piedi. Mezzo secolo dopo, quando venne Papa Wojtyla, come in uno soggetto pasoliniano il carcerato che gli teneva la croce morì la notte stessa
nella sua cella, per overdose.
La vita, l`aria, la luce e il verde cominciano sul lato opposto del fiume, inerpicandosi verso il faro del Gianicolo. Qui la notte è ancora vigente un primordiale sistema di comunicazione a squarciagola fra i detenuti e l`esterno. Il cinema ha raffigurato spesso questi poetici scambi. Per il resto la prigione dell`Urbe compare in diversi film, da “I soliti ignoti” a “Detenuto in attesa di giudizio”. Considerati gli odierni sviluppi, è irresistibile
menzionare anche “Scuola di ladri”, là dove Lino Banfi cerca di vendere Regina Coeli a un ricco americano.
A Roma, d`altra parte, la truffa sconfina con la realtà, e a volte l`orrore stinge nella commedia stralunata alimentandosi di rivolte, suicidi, eroismi, compromessi, evasioni, sforzi anche letterari di sopravvivenza. In questo
senso, fra le mille testimonianze, una delle più spassose e pacificate si trova in un “quasi romanzo” dell`ex finanziere Florio Fiorini (“Dall`Eni, alla Sasea,
alla prigione”, Foedus, 1997) che contro ogni gastronomico pregiudizio sostiene di aver mangiato benissimo: “E qui che si conosce la vera cucina
regionale italiana”.
Ma come documentano le foto di Valerio Bispuri pubblicate ieri da Repubblica, non c`è nulla che sollevi Regina Coeli dall`essere uno scandalo anacronistico, “un magazzino di carne umana” come l`ha definito Laura Boldrini, e tuttavia anche uno scandalo rinforzato dal fatto che detto
carnaio continua a funzionare a dispetto di una perenne, annunciatissima,
ma finora vana smobilitazione.

Basti pensare che già Mussolini voleva abbattere il carcere per innalzare al suo posto una trionfale scalinata verso il Gianicolo; e che negli anni 70, aperta
Rebibbia, l`antiquata struttura fu data per morta; tanto che nel 1993 il Guardasigilli Conso voleva chiuderla “al più presto”; e che l`anno dopo il ministro della Sanità Costa minacciò un`ordinanza terminale; e che in seguito il sindaco Rutelli incluse la chiusura fra le opere da effettuarsi per il Giubileo del 2000; e che poi ancora se riparlò, anche su questo giornale, nel 2003. Ma poi niente, o forse tutto. Nel paese che fra i vari suoi scandali ne contempla uno intitolato addirittura alle “carceri d`oro” (1987-88), lo scetticismo, malattia dei romani, oscura un po` il giudizio; però anche li tormenta e insieme li chiama al bene, senza troppo rassicurarli. FILIPPO CECCARELLI

Foto del profilo di Andrea Gentile

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